Due puntate consecutive di La vita in diretta, riguardanti anche la violenza sulle donne ed il disegno di legge Pillon, offrono spunti di riflessione sulla qualità del servizio televisivo pubblico
Lunedi, 10/09/2018 - Per ben due giorni consecutivi la televisione di Stato ha avuto modo di rendere palese quanto l’informazione tenuta ad offrire, ai sensi del ruolo di emittente pubblica rivestito, potrebbe considerarsi parziale. Per di più tale sbilanciamento riguarderebbe la stessa trasmissione, ossia La vita in diretta, nelle sue due puntate del 6 settembre e del giorno successivo. Nella prima si è assistito durante un servizio televisivo alla narrazione delle tesi difensive del presunto violentatore di una turista straniera diciasettenne avvenuto a Menaggio lo scorso mese d’agosto. E’ pur vero che in Italia il nostro sistema processuale è connotato dalla presunzione d’innocenza, motivo per il quale nessuno è colpevole fino a sentenza definitiva, ma l’andamento della trasmissione è apparso unilateralmente sbilanciato. Il racconto personale dell’indiziato, le interviste accorate della madre e della nonna hanno emotivamente compromesso il giudizio dell’opinione pubblica. Per rispettare obiettivamente il ruolo di fruitori del servizio radiotelevisivo di Stato, gli spettatori avrebbero dovuto essere informati anche su quanto dichiarato dalla supposta parte lesa, ossia la sopravvissuta alla violenza sessuale. Invece tale narrazione non v’è stata, con la conseguenza di ascoltare solo le tesi difensive dell’indiziato.
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