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‘La solitudine dei non amati’, il film rivelazione di Lilja Ingolfsdottir

‘La solitudine dei non amati’, il film rivelazione di Lilja Ingolfsdottir

Il pluripremiato dramedy della regista norvegese, che esplora gli aspetti psicologici dei problemi relazionali, sarà nei cinema dal 30 aprile distribuito da Wanted

Mercoledi, 23/04/2025 - Da sempre la cinematografia nordeuropea propone opere che approfondiscono l’introspezione dei personaggi e delle relazioni, basandosi su esperienze reali e storie di vita: a questa caratteristica, non fa eccezione ‘La solitudine dei non amati’ (Loveable), opera prima di Lilja Ingolfsdottir, regista e sceneggiatrice norvegese, che esplora, con sensibilità e fine acume psicologico, il delicato equilibrio ricercato dalla protagonista, tra maternità, carriera e identità personale, nell’ambito dei rapporti coniugali e familiari, svelando cause più complesse di quanto appaia in superficie.

Sullo stesso tema vengono in mente, tra i film più recenti (ma si potrebbero citare gli anni Settanta e l’incomunicabilità del cult ‘Scene da un matrimonio’ dello svedese mostro sacro Bergman), ‘La persona peggiore del mondo’, successo di pubblico e critica (premio miglior attrice a Cannes 2021) del cineasta norvegese Joachim Trier, o ‘Anatomia di una caduta’, vincitore della Palma d’Oro a Cannes 2023, diretto dalla regista francese Justine Triet e, ancora, il trittico norvegese ‘Sex’, ‘Dreams’, ‘Love’ diretti da Dag Johan Haugerud, usciti nel 2024 (‘Dreams’ vincitore dell'Orso d'oro al Festival di Berlino 2025): tutte opere in cui, al di là dell’abilità registica e delle trame, vengono sezionati - attraverso la sceneggiatura, i dialoghi e i non detti - sentimenti, parole, comportamenti, azioni commesse dai protagonisti e conseguenze di tali azioni su di sé e sugli altri. Un genere vero e proprio che non cessa di interessare.

‘La solitudine dei non amati’ racconta, infatti, da un lato, la parabola di una storia d’amore e di un matrimonio, dalla felicità dell’incontro all’evolversi della crisi ma, soprattutto, racconta la vicenda esistenziale di Maria (l’intensa Helga Guren), una donna di 40 anni al suo secondo matrimonio, che inizia a sentire come insopportabile il peso delle incombenze quotidiane, vedendosi intrappolata tra la responsabilità di crescere i tre figli (due avuti dal precedente matrimonio), una carriera lavorativa che tarda a decollare, anche per mancanza di tempo, ed un marito, Sigmund (Oddgeir Thune), sempre in viaggio per un lavoro che lo appassiona.

A poco a poco il film disvela i comportamenti distruttivi e i meccanismi psicologici profondi e di difficile comprensione immediata (per sé stessa, per il partner e per i figli stessi) che la donna mette in atto per esprimere la rabbia e l’insoddisfazione represse verso tale situazione – emozioni in realtà radicate già nell’infanzia di Maria e nel senso di abbandono e solitudine vissuto con i genitori - spingendo in qualche modo il marito a chiedere il divorzio, pur desiderando in realtà il contrario.

Il matrimonio di Maria, infatti, entra definitivamente in crisi quando, dopo il ritorno di Sigmund da un lungo viaggio, da una serata qualunque e da pretesti apparentemente insignificanti, scaturisce un confronto acceso e la frustrazione e la rabbia represse di Maria esplodono, rivelando le crepe di una relazione un tempo felice. Nonostante gli sforzi per salvare il loro matrimonio, la terapia di coppia e i sentimenti altalenanti, le cose non sembrano più funzionare, ciò spingerà Maria a confrontarsi con le sue paure più profonde nel tentativo di trovare una strada per ricostruirsi, poco a poco, supportata anche dall’aiuto di una brava terapeuta (Heidi Gjermundsen).

Lasciato momentaneamente il tetto coniugale, Maria tenta di ricostruire delle nuove relazioni con le persone che la circondano e prova a dare un significato alla sua possibile nuova vita da madre single, mentre ancora spera di riuscire a tenere insieme la famiglia. Un processo in cui non potrà sottrarsi dal fare i conti con il suo passato ed il suo rapporto travagliato con alcuni dei parenti più stretti, tra cui la figlia maggiore Alma (Maja Tothammer-Hruza) e sua madre (interpretata da Elisabeth Sand). Un percorso doloroso, che porterà Maria ad amare nuovamente, ma soprattutto ad amarsi.

Lo sguardo al femminile della regista si posa proprio sui ‘non-amati’ del titolo (in questo caso sulle ‘non-amate’) coloro che, per prima cosa, non amano sé stessi e non si ritengono degni di amore e devono combattere i propri demoni e i vissuti abbandonici, prima di riuscire ad accettarsi e ad accettare l’amore degli altri. Maria dovrà allontanarsi da tutto, guardarsi dentro e ripercorrere un viaggio introspettivo a ritroso, prima di potersi guardare allo specchio e dire ‘Io valgo, io mi amo, sono degna di essere amata’. La visita alla madre e il sostegno psicologico di un’esperta l’aiuteranno in questo cammino doloroso di liberazione, nel quale la donna ritroverà una scintilla di fiducia in sé stessa per affrontare nuovi o rinnovati percorsi relazionali, come quello con Alma, la figlia pre-adolescente, ribelle ma fragile, anche lei bisognosa di sentirsi amata.

“Si tratta di un film psicologico - racconta la regista - su una crisi coniugale, in cui una donna adulta è costretta a confrontarsi con modelli distruttivi dentro di sé. L'impianto della storia è abbastanza classico: si tratta di una storia di relazioni ma l'originalità sta nel modo in cui il film esplora l’aspetto psicologico e nel come si sviluppa in un viaggio di auto-esplorazione per la protagonista. Volevo creare una narrazione completamente diversa di una crisi coniugale ‘normale’: non ci sono azioni o personaggi straordinari, ma si esaminano le motivazioni psicologiche dei problemi relazionali. Dopo la prima parte del film, la storia non è più incentrata sull'amore tra lui e lei, ma sul rapporto di lei con sé stessa. Quello che sembrava essere un film romantico su un uomo e una donna diventa inaspettatamente un film sull'amore e sull'attaccamento alle figure genitoriali e sull'attaccamento e l’amore per sé stessa”.

Uno sguardo lucido, incisivo e originale quello di Lilja Ingolfsdottir, sui rapporti di coppia, familiari e parentali, una riflessione intensa ed autentica sulla fragilità delle relazioni e sulla forza necessaria per acquisire consapevolezza e ritrovare sé stessi: un film che, scavando nel profondo, pur con garbo e gradualità, non lascia tregua alla protagonista e agli spettatori, nel cercare dentro di sé la verità inevitabile dei propri sentimenti, limiti, errori e antiche memorie dolorose, anche quando ciò si riveli fonte di sofferenza, in funzione di un superamento verso future prospettive trasformative.

Molto interessante anche la ripresa diretta, con discrezione e rispetto, di uno spazio privato, quello delle sedute psicoterapeutiche della protagonista (la prima insieme al marito, che tende poi a sottrarsi) le quali, se ben condotte, aiutano a far emergere i nodi problematici e favoriscono la guarigione.

Dopo essere stato presentato in anteprima mondiale in Concorso per il Crystal Globe al Karlovy Vary International Film Festival 2024, dove ha vinto ben cinque premi, tra cui il Label Award, ed essere stato selezionato in numerosi festival internazionali, La solitudine dei non amati (Loveable) di Lilja Ingolfsdottir sarà nei cinema italiani dal 30 aprile distribuito da Wanted.

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