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“Les Miserables”: Victor Hugo e la banlieu parigina

“Les Miserables”: Victor Hugo e la banlieu parigina

Un film dal ritmo serrato che prende spunto dalle sommosse di Parigi del 2005

Mercoledi, 11/03/2020 - Fra i tanti film la cui uscita, a seguito delle disposizioni di legge relative al Corona Virus, è stata posticipata a tempi migliori, c’è ‘Les Miserables’ (trailer), vincitore del Premio della Giuria al Festival di Cannes, e candidato al Premio Oscar come Miglior Film Straniero. La celeberrima opera di Victor Hugo è nuovamente chiamata in campo in una trasposizione cinematografica di spregiudicata contemporaneità. Il film descrive infatti una situazione di marginalità, disperazione e sopraffazione, ambientata in questo caso nella periferia parigina, nota come ‘banlieu’ 93 - ricettacolo di delinquenza, prostituzione e droga - messa quotidianamente a ferro e fuoco dagli scontri fra polizia violenta e prevaricatrice, bande rivali e ragazzi di strada. Il film, diretto e co-sceneggiato dal documentarista franco-maliano Ladj Ly, qui al suo primo lungometraggio, si basa su un cortometraggio omonimo del regista stesso e racconta la dura vita di strada della banlieu, dove non si sa se siano più ‘miserabili’ gli abitanti o i poliziotti che dovrebbero rappresentare la legge. Il confine tra bene e male si fa labile, mentre tutti i personaggi diventano vittime alla ricerca di un personale riscatto o, più semplicemente, di sopravvivenza. Come affermava Victor Hugo nel romanzo, “non ci sono né cattive erbe né uomini cattivi. Ci sono solo cattivi coltivatori”.
Piuttosto complessa la trama : un nuovo agente, Stéphane, viene trasferito presso la brigata anti-criminalità di Montfermeil, (proprio dove Hugo aveva ambientato il suo romanzo), un gruppo affiatato che lavora da anni nella banlieu ma che, forte del suo ruolo, perpetra, come presto si accorgerà il nuovo arrivato, ogni sorta di prevaricazione gratuita, in particolare su ragazze, ragazzi e bambini. Chris e Gwada, i compagni di pattuglia di Stéphane, usano metodi inutilmente violenti finchè un giorno colpiscono un bambino quasi mortalmente ma vengono ripresi da un drone guidato da un ragazzino amante dei video. Da qui si dipana un’escalation di eventi dal ritmo serrato: da un lato i poliziotti ‘cattivi’ cercano la scheda del drone per far sparire la prova della violenza, dall’altro il poliziotto ‘buono’ cerca di salvare il ragazzo ferito, colpevole di aver rubato un cucciolo di leone al circo locale, anche instaurando un dialogo con le varie anime che compongono il milieu della comunità locale (arabi, zingari, africani, francesi). Il film è racchiuso tutto in due scene, quella iniziale, dove Parigi è invasa dalle bandiere e dalla gente (in realtà per la vittoria ai Mondiali del 2018) che canta l’inno nazionale, e quella finale, dove i ragazzi si organizzano per vendicarsi dei poliziotti e la loro rabbia esplode senza limiti.
La domanda del regista è chiara (forse troppo, quasi didascalica ma efficace): come facciamo a costruire una nazione vera e propria che includa tutte le nazionalità e le facce del Paese? Un quesito che anche noi, in Italia, possiamo ragionevolmente porci. Colpe, riflessioni e prospettive sono lasciate in sospeso. Il film ricorda un’altra opera simile vista e premiata a Cannes 2011, Polisse di Maïwenn, film più autoriale ma meno d’impatto.

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