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Attacchi di panico

Attacchi di panico

Dalle prime esperienze sugli attacchi di panico alla consapevolezza che gli studenti, se si sentono amati e rispettati, non hanno bisogno di medicine

Domenica, 29/08/2021 - “Prof, ma perché lei mi capisce mentre i miei genitori no?”
Marcella me lo chiese a bruciapelo nel bagno di scuola, dove si era rifugiata a seguito dell’ennesimo attacco di panico che le aveva tolto il fiato.
Respirava a fatica, stava per perdere i sensi, la feci sedere, poi sdraiare parlandole con calma e cercando di capire cosa le stava succedendo – era la prima volta per me, poi sono diventata esperta.
Da allora non solo Marcella, ma anche Valentina, Alice, Sara, Jessica e tante altre
Già, gli attacchi di panico che arrivano quando il prof ti chiama per farti una domanda, e blocca tutto dentro e i poveri studenti non parlano più, iniziano a sudare, ad andare in iperventilazione, chiedono di uscire per vedere se gli passa da soli, camminando per il corridoio di scuola – ma spesso non basta.
Ci vuole altro – e lì ho iniziato ad ascoltare questi malesseri di cui quella classe era particolarmente piena, a dialogare con ciascuno cercando la genesi: la scuola, la famiglia, le esperienze personali, ed ho raccolto storie con la consapevolezza che nessuno di loro era sbagliato, inadeguato, come pensavano. La sfida era farglielo pian piano capire.
Inadeguato al sapere del prof, inadeguato alle sue aspettative o a quelle del genitore che era così perfetto, inarrivabile, tutto d’un pezzo che neanche si accorgeva quanto poteva far male essere tutto d’un pezzo ad una personcina in crescita. Ho iniziato a capire i perché di tante ansie: genitori apprensivi o che volevano il massimo senza esserci mai, senza guardare mai chi abitava in casa con loro, genitori sprovveduti o persi dentro ai problemi di lavoro o economici o semplicemente incapaci di aiutare i propri figli a crescere sereni. Vengono così, la maggior parte degli attacchi di panico e spesso l’ospedale o le medicine non risolvono proprio niente, ma la pazienza, l’ascolto, l’amore, aiutano a comprendere, a far accettare i momenti di difficoltà, a imparare a superarli senza disperare, sapendo che non si è soli.
Ecco perché ho preso tempo per dare risposta alla domanda di Marcella: certi insegnanti hanno forse delle abilità diverse dai genitori, hanno più pratica nello stare a contatto con tanti ragazzi, forse è solo quello, hanno sviluppato un sentire, un’empatia che permette loro di comprendere. E so che insegnanti del genere ne esistono tantissimi, che ogni giorno combattono con queste e molte altre difficoltà, con passione, dedizione e amore, e bisognerebbe dar loro voce, ringraziarli, sostenerli e averne cura.

Elena Lorenzini

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