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Creare reti nei territori? Ci pensa la community manager

Creare reti nei territori? Ci pensa la community manager

Una nuova figura professionale che si occupa delle aree interne a rischio spopolamento. Intervista a Silvia Di Passio

Lunedi, 08/08/2022 -

Mettere in comunicazione tutte le risorse, naturali e sociali, presenti in un territorio a partire da quelle personali; un insieme potente che, collegandosi in rete, risveglia la capacità collettiva di agire dal basso per sbloccare situazioni e aprire la mente a nuove possibilità. Questo è il lavoro del/della community manager, una nuova figura professionale assai ricercata nelle piccole realtà che si occupa di costruire e facilitare il dialogo degli attori territoriali per costruire strategie di sviluppo verso politiche pubbliche capaci di generare nuove prospettive delle aree interne. A spiegarci tutto questo è Silvia Di Passio, che incontriamo in occasione di un evento sulle donne rurali organizzato dal Crea (Alvito e Le Case Marceglie 19-20 luglio 2022).

 “Il mio lavoro consiste nel collaborare all’ideazione e realizzazione di progetti partecipativi di sviluppo locale nelle aree interne, soprattutto nei comuni con meno di mille abitanti. Ho iniziato qui, in Val di Comino, lavorando con il GAL versante laziale del Parco Nazionale d’Abruzzo, poi ho seguito i programmi Erasmus. Il lavoro di community manager l’ho sviluppato in Sardegna e oggi sono in Toscana, dove coordino una rete di cooperative di comunità. È un lavoro interessante e impegnativo, che prevede prima di tutto di vivere nei luoghi dove si opera perché bisogna conoscere bene le realtà evitando di calare dall’alto gli interventi e i progetti. Oggi si parla di inclusione e di comunità, espressioni che rimangono superficiali se non si riempiono di contenuti. Per esempio non sempre le persone nei piccoli paesi si conoscono e si parlano; al contrario, spesso c’è la tendenza a chiudersi ciascuno nel proprio mondo con il risultato che le persone sono come bloccate nelle proprie identità e incapaci di esprimere altre parti di sé. Quando arriva una figura esterna si rompono dei meccanismi e si creano nuove possibilità. È così che si avvia un processo partecipativo, provocando un dialogo aperto a tutti utilizzando metodologie che mettono le persone nelle condizioni di essere libere di esprimersi. Il punto di partenza è la relazione, che spesso è inibita da invidie e campanilismi o anche da povertà emotive e relazionali che impediscono di costruire un dialogo autentico e proficuo. Il nostro lavoro - che si svolge tra privati, associazioni e soggetti pubblici - consiste nel promuovere e sostenere interventi che nascono dai territori attraverso la valorizzazione delle risorse esistenti e costruendo risposte mirate alle esigenze reali. L’importante è coinvolgere tutte le persone, a partire dai giovani, ma senza escludere nessuno. È anche un processo di educazione emotiva, sentimentale e relazionale che ha bisogno di cura e competenze professionali capaci di costruire politiche adeguate ai luoghi e alle esigenze delle persone”.




Testimonianza raccolta nell’ambito del
progetto
‘Da sole non c’è storia. Donne al lavoro tra passato
e futuro’ sostenuto dalla Regione Lazio. #lavoroXlei


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