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Eppure si poteva scendere in piazza

Eppure si poteva scendere in piazza

Storia di una proposta di mobilitazione generale delle donne italiane contro la violenza machista, in segno di solidarietà con la manifestazione delle femministe spagnole dello scorso 7 novembre a Madrid.

Mercoledi, 11/11/2015 -
Allorquando, sul finire dell’estate, incominciò a circolare la notizia di un’imminente mobilitazione delle donne spagnole contro la violenza machista, con alcune amiche impegnate sui temi ad essa correlata decidemmo di lanciare la proposta di organizzare una omologa manifestazione. Ci rivolgemmo ad alcune rappresentanti di associazioni femministe e femminili ed anche a singole donne riconosciute per le loro competenze su quel tema, come pure a quante erano semplicemente rappresentative del proprio desiderio di scendere in piazza a rivendicare i loro bisogni e le loro aspettative. Quello che era stato un moto spontaneo dell’anima dopo l’ennesimo femminicidio, a cui era conseguita la volontà di rendere pubblica la propria protesta, ben presto si scontrò contro un muro di gomma, eretto in poco tempo dalla diffusione della proposta. Critiche strumentali ed attacchi personali si frapposero al progetto divulgato da Simona Sforza attraverso un testo condiviso intitolato “Care compagne vi scrivo”. Ivi si esplicitava in forma chiara ed evidente il proposito portato all’attenzione del movimento femminista italiano, nelle sue varie articolazioni, ossia “Stiliamo insieme un manifesto, che leghi le nostre marce piccole o grandi, in ogni quartiere, borgo, paese, città della penisola e lavoriamo a questo appuntamento, ognuna con le proprie idee e contributi, semmai gemellandoci con le nostre sorelle spagnole”. L’obiettivo finale era più che palese: “Esigiamo che tutti i livelli istituzionali si impegnino a contrastare la violenza contro le donne, in ogni sua forma e in ogni ambito della nostra vita”. Alcune esponenti di associazioni a carattere nazionale si chiusero immediatamente a riccio, pungendo chi aveva solo tentato di sollecitarle ad una risposta esplicita al proposito. Probabilmente temevano di dovere subire un’adesione incondizionata, a mo’ di cambiale in bianco, ad una proposta che non condividevano e negli intenti e nelle modalità di esecuzione. Eppure i contributi individuali o collettivi erano ben accetti da chi sentiva forte in sé la consapevolezza di non essere rappresentativa delle donne italiane.

Sono arrivati, invece, no conclamati o anche solo sussurrati, nonchè ipotesi alternative o difficili da concretizzare nel breve lasso temporale di cinquanta giorni o impossibili da praticare per chi non aveva un radicamento territoriale, quali ad esempio la richiesta di indire un’assemblea nazionale. Si è così stoppato sul nascere il proposito di impegnarsi per una mobilitazione nazionale, che avesse una sola parola d’ordine, come avevano fatto le donne spagnole. Eppur vero che ad individuarla, quale risultato di una piattaforma programmatica condivisa da 400 associazioni femministe e femminili iberiche, avevano impiegato vari mesi, ma in Italia non era il tempo a condannare il progetto di manifestare pubblicamente contro la violenza di genere, tutte insieme con una sola voce. L’ostacolo insormontabile, ieri come oggi, è stato uno solo, a mio parere, ossia la mancanza di volontà di scendere in piazza, fosse anche una piccola piazza di un ancor più piccolo centro urbano, come si era cercato di proporre in via subordinata. L’amica Donatella Caione scrive: “La prima forma di prevenzione di ogni tipo di violenza contro le donne secondo me risale al fatto che, in quanto donne Noi non ci siamo”, perché non siamo capaci di elaborare in maniera condivisa e di rivendicarne altrettanto unitariamente le successive proposte. Non è né vuole essere questa una rassegnata presa d’atto, al contrario una lucida considerazione a posteriori di quanto è accaduto in conseguenza della nostra proposta di scendere in piazza a manifestare contro la violenza di genere

All’onestà intellettuale perseguita, con tutti i dubbi ed i timori di chi sa perfettamente quanto sia arduo il cammino da percorrere, si è risposto con il sottile veleno della maldicenza gratuita e della cattiveria fine a sé stessa. Siamo state accusate di volere scavalcare quante nel passato si erano battute in prima linea per i diritti delle donne in un Paese che quasi non le riconosceva soggetti di eguali diritti. Siamo state criticate di non volerci confrontare con le altre per elaborare congiuntamente la piattaforma programmatica alla base della manifestazione pubblica. Siamo state sbeffeggiate e derise in una serie di commenti virtuali e reali, ma nonostante tutto, con il significativo contributo di Ylenia Vielmi,, Dale Zaccaria, e Roberta Schiralli, e l’importante sostegno ideale di Nadia Somma e Stefania Spanò abbiamo creato una pagina su facebook, Noi non ci stiamo. E quel Noi, presente nell’intestazione, vorrebbe nei nostri intenti stare a marcare proprio il senso di un impegno collettivo e condiviso nel tentare di farci ascoltare dalle istituzioni non solo il 25 novembre, perché come è stato scritto in Care compagne “quella data simbolica non basta più a contenere le rivendicazioni delle donne italiane contro ogni forma assunta dalla violenza di genere”. Siamo riuscite a consegnare al Coordinamento delle donne spagnole una lettera di solidarietà, ove ci impegniamo “nel prossimo futuro a rendere fattivamente concrete le ragioni delle rivendicazioni delle donne italiane. Ognuna con le proprie capacità e competenze, per raggiungere quanto più sia auspicabile l’obiettivo non di rappresentarle, ma di renderle consapevoli che possono rivendicarle da sé in prima persona quelle stesse ragioni”. Grazie a Dale abbiamo ottenuto in presa diretta le immagini della manifestazione di Madrid, a cui si sono richiamati due presidi organizzati a Milano e Roma. Poca cosa si dirà, ma è quello che è stato generato dal movimento delle donne in Italia da noi invano interpellato, anche se solo per il tramite delle sue figure più rappresentative. Ma quel piccolo risultato ci è stato poi riconosciuto, se Lorella Zanardo in un tweet ha scritto: “Queste ragazze stanno tenendo vivo il #femminismo che in molte/i stanno cercando di abbattere in #italia.forza!”.

Da due giorni sento richieste aventi ad oggetto la comprensione dei motivi per i quali in Italia non è possibile replicare quanto è avvenuto in Spagna. Non saprei cosa rispondere, se non descrivere per mio conto quanto è avvenuto in meno di due mesi. Una cosa certa, però, so ed è una consapevolezza nuova, mai avvertita prima, ossia la scelta puntuale di continuare a percorrere la strada intrapresa. La forza mi viene dalla coscienza della legittimità del lavoro approntato, anche se poco o per nulla proficuo agli occhi delle attente critiche della proposta di mobilitazione generale in Italia contro la violenza machista. La determinazione me la dà la visione delle immagini provenienti da Madrid, ove 400 associazioni femministe hanno portato in piazza 500.000 persone, con una presenza massiccia di donne di ogni generazione, che al grido “Alza tu voz” si impegnavano a chiedere in prima persona non solo un futuro diverso ma anche un presente migliore per sé stesse. La passione è originata dalla semplice presa d’atto che non si può fare diversamente e che conseguentemente dovremmo lavorare tutte insieme per dare quel segnale forte, che in tante aspettano, soprattutto quelle donne oppresse dall’impotenza della rassegnazione di una vita fatta di soprusi, sopraffazione e tanta, tanta violenza, fino a poterne morire” (“Care compagne vi scrivo”).

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