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Francesca Albanese, autrice di 'Quando il mondo dorme'. Moni Ovadia alla presentazione

Francesca Albanese, autrice di 'Quando il mondo dorme'. Moni Ovadia alla presentazione

Il saggio della Relatrice Speciale ONU sul territorio palestinese occupato mette a nudo le responsabilità delle violenze inferte al popolo palestinese e chiede a Israele di rispettare il diritto internazionale

Sabato, 02/08/2025 -

Perché una giovane donna in carriera con marito e figli, dovrebbe mettere a rischio la propria incolumità e quella della sua famiglia? Perché rischiare sanzioni e minacce? Perché esporsi all’odio di portatori di interessi e detrattori? Perché ha il coraggio di essere dalla parte giusta, cioè quella dei palestinesi. Francesca Albanese parla con una mitezza che esprime forza: non è un ossimoro, bensì l’atteggiamento chi conosce la verità, anche per averla osservata con i propri occhi. Checché ne dicano gli spaventati detrattori, la Relatrice Speciale ONU per i diritti umani nei territori occupati da Israele è la testimone oculare che quei diritti, basilari a una vita dignitosa, vengono costantemente violati e annientati. Da giurista e studiosa, Albanese, che si batte con passione per i diritti negati del popolo palestinese, ha chiarito che le sue linee guida sono l’imparzialità, ovvero guardare i fatti nella loro realtà, e l’analisi in base al diritto internazionale. L’America l’ha sanzionata e ne ha chiesto la condanna delle attività e la rimozione dall’incarico, Israele ne ha minacciato l’incolumità e sta conducendo nei suoi confronti una campagna di delegittimazione e diffamazione con ogni mezzo, social inclusi. Per tutta risposta, l’ONU le ha rinnovato il mandato per altri tre anni. Per tentare di aprire gli occhi sulla condizione dei palestinesi, segregati, scacciati e perseguitati nelle loro terre, Francesca Albanese ha da poco pubblicato un libro, Quando il mondo dorme, in cui si intrecciano informazioni, riflessioni, emozioni e vicende intime. Lo sta presentando in giro per il mondo e così, durante il tour in Irpinia, non poteva mancare l’incontro con la sua città natale, Ariano Irpino, che l’ha accolta con un pubblico folto ed entusiasta presso il Palazzetto dello Sport e le ha donato le chiavi della città.

Moni Ovadia: il sionismo è un crimine
Ad accompagnarla Moni Ovadia, che ha sottolineato con slancio: “per 50 anni ho parlato del calvario del popolo palestinese, trovandomi di fronte a un muro di indifferenza e insulti. Poi, all’improvviso, ho visto sorgere l’alba, che aveva il viso di una donna dalla tempra unica, che annunciava la verità con determinazione: quello di Francesca Albanese. Questo giorno è il coronamento di un lungo impegno a sostegno del popolo palestinese, un popolo dolce e mite, che è stato sottoposto alla persecuzione più vergognosa dalla fine della Seconda Guerra Mondiale. Il sionismo è un crimine in quanto tale: ha preso la bufala del popolo eletto e ne ha fatto un totem per opprimere, vessare e torturare un altro popolo. La più grande bestemmia di tutta la storia dell’ebraismo. Ciò che mi unisce a Francesca, è il principio dell’uguaglianza, il senso della giustizia, che troppo spesso viene calpestato dai regimi fascisti. Se l’umanità non condurrà una lotta estrema per fermare questo orrore e restituire i diritti più sacri a un popolo vessato e massacrato, vorrà dire aver annullato secoli di civiltà. I sionisti ci stanno portando via il senso della nostra esistenza, con una brutalità e vigliaccheria senza limiti. Perché nessun politico ha osteggiato Netanyahu quando ha detto che non ci sarà mai uno stato palestinese? C’è un diritto internazionale in questo mondo, e il principio dell’etica ebraica è: “la giustizia, la giustizia, perseguirai”, mentre i sionisti sono i più grandi specialisti della perversione della giustizia”. E riferendosi alle minacce subite da Francesca, di cui ha riconosciuto il coraggio di dire la verità, che la rende invisa ai suoi nemici, ha aggiunto: “Non provino a toccare Francesca, perché metteremo davanti a lei tutti i nostri corpi!”.

L’imparzialità non può essere confusa con l’ignavia e l’indifferenza
Su sollecitazione della coordinatrice Maria Elena De Gruttola, Francesca Albanese ha illustrato il suo ruolo.Mi occupo di monitorare, documentare e riferire alle Nazioni Unite, le violazioni del diritto internazionale che Israele commette nei territori palestinesi occupati. Quando mi vedo tacciare di parzialità, penso che ci sia un analfabetismo istituzionale. Non dimentichiamo che lo Stato di Israele è stato creato nel 1948 all’interno della Palestina, che era già abitata da milioni di persone, e ciò è equivalso alla distruzione di 500 villaggi e alla cacciata di quasi un milione di persone non ebree da quella terra, perché qualcuno aveva deciso che quello doveva essere lo Stato-ricompensa al popolo ebraico, per il nostro antisemitismo. All’indomani dell’Olocausto, i sopravvissuti ai campi di concentramento non li voleva nessuno, perciò furono spinti verso la Palestina. Quel poco che oggi resta della Palestina storica, la striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est, è la terra su cui Israele mantiene da quasi sessant’anni un’occupazione violentissima. Quando io e Moni, che conosciamo la Palestina, sentiamo parlare di Israele come unica democrazia del Medio Oriente, ci si accappona la pelle. Non è democrazia quella che propugna l’etnonazionalismo: la democrazia israeliana è tutt’al più una democrazia solo per gli ebrei e nessun altro. I palestinesi, fin da quando in Palestina sono arrivati i colonizzatori britannici (dal1920 fino al 1948), da oltre 100 anni pagano il fio del nostro suprematismo. Quel popolo oggi vive di repressione, che si tratti dei palestinesi che vivono all’interno di Israele, senza essere veramente cittadini o di quelli che vivono a Gaza o a Gerusalemme, la cui sola colpa è di vivere nella terra che il popolo cosiddetto eletto ritiene essere propria per diritto divino: è inaccettabile. Pertanto, quando le Nazioni Unite mi hanno chiesto di documentare le violazioni di diritto internazionale che hanno luogo in quella terra, l’ho fatto con imparzialità. Imparzialità non vuol dire equidistanza tra le vittime e i violatori del diritto internazionale. Non nego che i palestinesi nei decenni siano stati essi stessi artefici di crimini, tentando di vivere da popolo libero, senza riuscirci: ricordiamo che anche noi abbiamo avuto la Resistenza e la libertà, grazie ai partigiani. Un atto illegittimo della Resistenza, però, non delegittima la Resistenza stessa, mentre un atto illegale di un’occupazione illegale, che è veicolo di depredazione del popolo occupato, che serve a rubargli terra, acqua e risorse, imporgli l’apartheid, crimine osceno di discriminazione razziale, non fa che aumentare la pila dei crimini che i giudici saranno chiamati ad esaminare. Che questo accada all’Aia o nei nostri tribunali, è arrivato il momento di azionare le nostre Corti, affinché contribuiscano a portare giustizia per il popolo palestinese. L’imparzialità non va confusa con l’accezione negativa di indifferenza o ignavia. Per me significa guardare i fatti e descriverli alla luce del diritto, difendere ciò che è giusto, lottare contro i soprusi, dare voce a chi è stato silenziato, e per questo sono stata accusata di antisemitismo. Purtroppo, lo dico con enorme dolore, da italiana, gli ebrei li abbiamo sterminati anche noi: con le leggi razziali del 1938 si sapeva cosa stesse accadendo. A molti dei nostri nonni non interessava, così come a molti oggi non interessa quello che sta accadendo ai palestinesi. L’antisemitismo esiste ed è la discriminazione, l’odio, il pregiudizio nei confronti degli ebrei in quanto tali. Per quanto mi riguarda, gli ebrei potrebbero essere cattolici, buddisti, musulmani, atei come i loro padri fondatori, non mi interessa: ciò che chiedo a Israele, è di rispettare il diritto internazionale. A coloro che difendono lo Stato di Israele domando come facciano a concepirlo come uno Stato di apartheid, che mantiene un’occupazione permanente e che sta sterminando in modo abominevole, due milioni di persone senza più difese, senza più un tetto sulla testa, senza più acqua, senza più cibo con cui nutrirsi e da dare ai propri figli. Non riesco neanche a immaginare cosa significhi veder morire un proprio figlio tra le braccia: un giorno tutto questo verrà fuori”.

Quando il mondo dorme
Ho scritto questo libro perché ci siamo tutti rotti dentro, spaccati”. Albanese si è chiesta altresì come mai in Italia, pur non avendo fatto nulla che la rendesse invisa ai media, ne sia stata esclusa e anzi, oltraggiata. Così, siccome la necessità di parlare della Palestina, si è fatta sempre più pressante, ha colto ogni occasione per farlo, compreso scrivere un libro. Il lavoro, dalla valenza socio-antropologica e storica, è corroborato dalla cruda testimonianza dell’Autrice, che in Palestina ha vissuto. Le dieci storie che propone stimolano domande a cui è doveroso rispondere: in che condizioni vive il popolo palestinese? Come nasce il progetto coloniale sionista? Quali sono le conseguenze dell’occupazione? Dov’è la casa di una persona rifugiata? Come vengono “espropriate” le case dei palestinesi? Che vuol dire essere bambino in quei territori? Fin dove può spingersi la crudeltà di un genocidio? Che vuol dire nascere e vivere in Palestina? Perché è fondamentale preservare la memoria di un popolo? Proponiamo qui qualche breve estratto dal libro, insieme a qualche nostra sintesi

Parlare di conflitto è pretestuoso: i carnefici, sono gli israeliani e le vittime i palestinesi
“Quale conflitto? Il conflitto richiede due parti vagamente comparabili. Israele e Palestina non lo sono: uno è l’occupante e l’altro l’occupato, uno è il colonizzatore e l’altro il colonizzato, posto in una condizione di strutturale subalternità e vittima di un sistema di controllo e segregazione. No, questo non è un conflitto: al massimo può essere visto come un conflitto con l’umanità. Inoltre, ad aggravare la situazione di oppressione sul popolo palestinese, a tutte le azioni di occupazione israeliana si aggiunge paradossalmente anche la stessa Autorità nazionale palestinese, un’istituzione politica creata nel 1993 a seguito degli accordi di Oslo”. Gli accordi, come ben sottolinea l’Autrice,avrebbero dovuto segnare il primo reciproco riconoscimento tra Israele e l’OLP, portando alla creazione di uno Stato palestinese, mentre per i palestinesi hanno prodotto, al contrario, il rafforzamento dell’occupazione e della rapacità nell’acquisizione delle loro terre e nella repressione dell’esistenza palestinese. Lo Stato promesso, riconosciuto da 135 Paesi delle Nazioni Unite, esiste, ma concretamente non si è mai realizzato. La sopraffazione israeliana è aumentata, espandendosi geograficamente e proseguendo gli insediamenti nei territori occupati. Anche se fossero stati rispettati, gli accordi di Oslo prevedevano in ogni modo una forte asimmetria tra le parti, che nei fatti privavano i palestinesi di vera sovranità, come affermato da studiosi di entrambe le parti, da Edward Said a Tanya Reinhart eIlanPappé, nonché organizzazioni come l’israeliana B’Tselem, la quale ha confermato come quei negoziati non abbiano messo in discussione l’architettura del controllo israeliano. Molti ritengono che proprio questi accordi abbiano legittimato l’occupazione, “trasformando l’Autorità nazionale palestinese in un ente amministrativo che governa la popolazione in alcune zone, ma globalmente sotto la sorveglianza e il dominio militare israeliano”. Il risultato, secondo molti palestinesi, è che proprio l’ANP è l’ostacolo al raggiungimento dell’autodeterminazione.

Che prospettive per un palestinese?
Oggi più che mai un palestinese non ha molte alternative per il suo futuro: immancabilmente nelle funzioni di base della vita, così come facendo politica, si scontrerà con l’israeliano, con la conseguenza di essere imprigionato o ucciso. I minori più giovani vengono arrestati spesso, imprigionati e messi in isolamento anche per più di 15 giorni (una forma di tortura anche questa) con l’accusa di aver tirato pietre e condannati a due - tre anni di reclusione. Una pena “generosa”, se si considera che la condanna per il lancio di pietre per i palestinesi arriva a dieci anni e venti se lanciate con intenzione di nuocere a qualcuno! Come stupirsi, se tornati a casa i bambini di dodici, tredici, quattordici anni, o persino più piccoli, sono traumatizzati, non vogliono più uscire, fanno la pipì a letto, hanno disturbi comportamentali o violenti? Il capo d’accusa, quando specificato, rende i palestinesi prigionieri politici. Come accade spesso alla parlamentare Khalida Jarrar, regolarmente eletta nel 2006 nel Consiglio nazionale palestinese, di continuo agli arresti per “ragioni di sicurezza”. Nel 2021, mentre era detenuta senza accusa né processo, subì la morte, per infarto, della giovanissima figlia Suha, ma Israele non le permise di uscire neanche per recarsi ai suoi funerali!

Cos’è l’infanzia in Palestina? Hind e non solo…
A fine gennaio 2024 la cronaca ci aveva parlato di Hind, la cui vicenda viene riportata nel libro. La bimba di 6 anni, a causa del freddo, viene ospitata in auto dagli zii dopo l’ennesimo ordine di evacuazione nell’aerea ovest di Gaza, a seguito del quale, la madre e i fratelli erano scappati a piedi. Nel primo pomeriggio la macchina in cui si trova, poco distante da una stazione di servizio di Tel al-Hawa, viene crivellata di colpi dall’artiglieria israeliana. Con mani tremanti, Hind prende il telefono dalle dita della cugina quindicenne, colpita a morte assieme agli altri e chiama gli operatori della Mezzaluna Rossa, dicendo che un carrarmato si sta avvicinando e ha molta paura. L’operatrice, consapevole del rischio, cerca di rassicurarla e rimane al telefono con lei, oltre tre ore, mentre i suoi colleghi si coordinano con le autorità israeliane per localizzarla e ottenere il permesso di metterla in salvo. Sia i soccorritori che la bambina saranno invece crivellati di colpi dall’esercito israeliano. Il corpo di Hind sarà trovato dodici giorni dopo, trafitto da più di 300 proiettili. Seguendo il racconto dell’Autrice: “Le indagini del team britannico di Forensic Architecture guidato dal professor Eyal Weizman, ricostruendo le distanze e la dinamica dei colpi, hanno dimostrato che non è plausibile che i soldati israeliani che hanno sparato dal carro armato non avessero una visuale piena sulla presenza dei civili nel veicolo, tra cui due bambine”. La registrazione di quella straziante conversazione “con la vita della piccola appesa a un filo, è stata consacrata alla storia e si spera, un giorno, al lavoro dei giudici che puniranno i responsabili della strage in cui Hind è stata uccisa dall’esercito israeliano”. La distorta narrazione, frutto di decenni di manipolazione discorsiva che ha distorto la percezione di rapporti di forza tra israeliani e palestinesi, ha portato a credere che i palestinesi siano responsabili della loro stessa situazione e rappresentino una minaccia esistenziale per Israele. E questo, ci ricorda Albanese, porta a vedere ogni vita, compresa quella dei bambini un potenziale pericolo futuro per la sopravvivenza di Israele. Decine di migliaia di bambini palestinesi sono morti così, nell’impunità dei colpevoli. “Mohammed Tamini, aveva due anni quando, qualche mese prima del 7 ottobre 2023, le forze di occupazione israeliane- quelle che formalmente vanno sotto il nome di Forze di difesa israeliane (IDF) - gli hanno sparato alla testa mentre era in macchina con il papà nella Cisgiordania occupata. Nessuno è stato ritenuto responsabile, come sempre. Questa è l’infanzia, in Palestina”. La malattia è un altro dei temi emersi spesso nel mio dialogo con i bambini. A Gaza, per esempio, già prima del genocidio, la terra era inquinata, sovrappopolata, piena di resti di ordigni inesplosi, l’acqua imbevibile. La contaminazione era ovunque e il numero di persone malate di leucemia e cancro, anche tra i minori, era altissimo. […]. A Gaza mancavano strutture sanitarie adeguate e questo costringeva molte famiglie a cercare assistenza medica al di fuori del territorio. Questa pratica non solo metteva a rischio la sicurezza dei bambini, ma causava anche un enorme stress emotivo sia ai piccoli pazienti sia alle loro famiglie (n.d.r:a cui era vietato accompagnarli), costrette a separarsi in momenti di grande vulnerabilità. Ma di solito i palestinesi sono estremamente solidali. Ad accoglierli c’era sempre qualcuno, un amico, un parente, un membro di un’organizzazione umanitaria”.

Svegliarsi dal sonno di pietra
Il saggio di Francesca Albanese suscita un subbuglio di emozioni, dall’incredulità, all’indignazione. Fanno ribollire il sangue gli inauditi soprusi perpetrati sui palestinesi, con vessazioni fisiche, psicologiche e culturali, per tentare di alienarne persino l’identità. Ricorda l’Autrice: “Nel luglio 2024 la Corte internazionale di giustizia ha riconosciuto che l’occupazione mantenuta da Israele a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est dal 1967 è illegale e deve essere abbandonata totalmente e incondizionatamente”. E aggiunge come sia necessario lottare contro la violenza del potere senza freni degli Stati Uniti, a cui secondo Trump (su cui ben si staglia la definizione di Caligola del ventunesimo secolo), piacerebbe diventare proprietari della Striscia di Gaza. È tempo di schierarsi contro la devastazione di Gaza e ciò che resta della Palestina e di lottare contro un sistema internazionale fondato sull’uso della forza in nome di una cosiddetta “pace”, evocata sempre a vantaggio di pochi e sempre usando le parole per mistificare la realtà di ciò che viene commesso. Per dirla ancora con l’Autrice: “è tempo di risolvere la violenza alla radice, rimuovendo le cause che la innescano e che in Palestina sono fondamentalmente l’oppressione e l’apartheid”.
Il 29 luglio Francesca Albanese ha presentato presso la Camera dei deputati il suo ultimo rapporto: Dall’economia dell’occupazione all’economia del genocidio, sulle aziende e gli interessi che hanno sostenuto prima la colonizzazione della Cisgiordania, e attualmente il genocidio di Gaza. Ha annunciato altresì che intende portare avanti un’altra inchiesta sulle responsabilità della stampa occidentale, mentre ha ricordato come: “a sostenere l’impunità di Tel Aviv, non è soltanto l’ideologia, ma anche il profitto di troppe aziende”. Il rapporto, pubblicato da PaperFIRST, è disponibile dal 2 agosto in edicola con il Fatto Quotidiano.

In un mondo alla rovescia, in cui chi dice scomode verità viene denigrato con ogni mezzo, stare dalla parte di una donna straordinaria come Francesca Albanese, vuol dire stare dalla parte giusta, affinché con la sua, si faccia portatrice anche della nostra voce, che grida di fermare il genocidio in Palestina. (Foto di Marco Memoli)

Francesca Albanese
QUANDO IL MONDO DORME
STORIE, PAROLE E FERITE DELLA PALESTINA
Rizzoli pagg.284 € 18


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