A Rapallo il 29 e 30 agosto la nona edizione. Intervista a Luisella Battaglia, presidente del Comitato scientifico
Scelta coraggiosa, per la nona edizione del Festival di Bioetica (Rapallo, 29 e 30 agosto) organizzato dall'Istituto Italiano di Bioetica, quella di affrontare il tema straordinariamente complesso della FRATERNITÀ con un approccio interdisciplinare e in una prospettiva etica, sociale, politica, antropologica, filosofica, religiosa.
Abbiamo chiesto alla professoressa Luisella Battaglia, presidente del Comitato scientifico, di tratteggiare sinteticamente il percorso teorico che il Festival ha delineato (vedi programma tematico).
Prima di tutto, professoressa Battaglia, una riflessione sulle ragioni che vi hanno portato a mettere al centro dell'evento la parola FRATERNITÀ in un momento storico in cui i potenti - e non solo loro - sembra che abbiano dimenticato questo sentimento... a proposito, ma secondo lei cosa è la FRATERNITÀ?
Parlare di fraternità oggi può sembrare paradossale dinanzi alle condizioni di estrema violenza, di individualismo esasperato, di profonde diseguaglianze che caratterizzano il nostro tempo. Occorre in effetti riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Entrata a far parte del famoso trittico della Rivoluzione francese, insieme alla libertà e all’eguaglianza, è stata di fatto marginalizzata dal lessico politico e economico, confinata nel regno dell’utopia. Come può dunque oggi la fraternità, che sembra la grande esclusa nelle società locali e globali, offrire un orizzonte di senso alla nostra epoca? Bisogna considerare che negli ultimi decenni la condizione umana è cambiata assai rapidamente. L’aumento simultaneo di potenza tecnologica e di interdipendenza planetaria ha provocato una mutazione nella condizione umana che ci ha reso sempre più una comunità di destino. Di fronte alle grandi crisi che ci sfidano il genere umano deve apprendere a pensarsi come una sola umanità: ci salveremo tutti insieme o ci perderemo tutti insieme. È questa la grande scommessa di una fraternità che non può essere imposta per legge ma diventare un modo dell’essere umano fondato sulla consapevolezza di una mutua appartenenza: si vive nella coscienza di essere parte di una comunità e quindi di dover agire conseguentemente. Per la prima volta nella storia umana la fraternità può quindi diventare concretamente universale: siamo tutti nella stessa barca planetaria. In questo senso sembra possibile parlare di un nuovo modo di abitare la Terra che ponga fine allo sfruttamento senza limiti da parte di un’umanità impegnata a produrre e a consumare in modo predatorio. In ambito bioetico la pratica della fraternità riguarda non solo gli umani viventi, ma anche le generazioni future e agli animali. In quanto componenti di una comunità di destino terrestre la fraternità consente il riconoscimento di dignità e diritti fondamentali insieme alla possibilità, per ognuno, di progettare e perseguire il proprio piano di vita attribuendole senso e valore nella consapevolezza che la cura di sé, la cura degli altri, compresi gli animali e l’ambiente, si implicano vicendevolmente.
Nella sua introduzione di apertura del Festival lei parlerà di Fraternità e di Sororità. Qual è il filo conduttore della sua riflessione? Quale la differenza tra 'sorellanza' e 'sororità'?
Ci è sembrato importante, nell’ambito del festival, aprire una riflessione sulla sororità. Si tratta di un termine ancora poco usato, rispetto al termine sorellanza, che fa riferimento, in analogia al termine fratellanza, ad un sentimento di appartenenza ad una comunità di destino e intende promuovere la solidarietà e la collaborazione nell’individuazione di comuni obiettivi ad es. sociali, politici, etc. Se il termine sororità è stato impiegato finora prevalentemente in ambito teologico – ad es. negli studi di Cettina Militello per indicare la presenza di un’ipoteca androcentrica e patriarcale contro cui occorre reagire, trattandosi di “una sfida per la Chiesa e la liturgia” - ci invita tuttavia a riflettere sul termine fraternità che si vorrebbe includente nel suo riferirsi a un’identità condivisa - la comune umanità - ma che, nel suo rivendicare un significato universale, in quanto riferito indifferentemente a uomini e donne, fratelli e sorelle, non prende in considerazione la specificità rappresentata dalla categoria di genere. Da qui l’importanza di recuperare, col termine sororità, tale prospettiva. La riflessione femminista si è concentrata molto, in questi ultimi decenni, sul concetto di genere in cui si ravvisa sia un elemento costitutivo delle relazioni sociali, sia una via primaria per risignificare i rapporti di potere. Una categoria che si è rivelata di grande interesse in ambito culturale e che ha aperto prospettive innovative introducendo, in particolare, il paradigma etico del caring, del ‘prendersi cura’ nell’ambito della bioetica medica, ambientale e animale. Avviando una riflessione sulla sororità abbiamo anche inteso riconoscere il contributo rilevante delle studiose impegnate nelle diverse sezioni regionali dell’Istituto Italiano di Bioetica a coltivare una bioetica di genere.
Nel programma del Festival è previsto uno spazio di riflessione che avete chiamato ‘Le oasi di fraternità’: qual è l’ispirazione di questa definizione e quali contenuti propongono?
Si tratta di un’espressione coniata da Edgar Morin per indicare le iniziative private, personali e associative che segnalano gli abbozzi di una civiltà votata alla fioritura personale nell’inserimento comunitario, emergendo come vere e proprie oasi nel deserto. A suo avviso queste iniziative aprono delle brecce all’interno delle enormi macchine tecno-economiche che impongono alla società gli imperativi di un pensiero fondato sul calcolo e votato alla massimizzazione dei profitti. Tra gli esempi, l’utilizzo di fonti energia private, il consumo di alimenti che sfuggono alla standardizzazione e all’alterazione industriale, il rifiuto dell’usa e getta a vantaggio del durevole. Partecipano dunque alla costruzione e all’espansione di oasi gli sviluppi dell’alimentazione locale, stagionale o biologica e le pratiche cooperative degli acquisti collettivi, le reti di mutuo appoggio: luoghi quindi di economia solidale, di vita migliore e, nel contempo, luoghi di solidarietà e fraternità. Possono preparare il futuro dell’umanità? Non ancora, risponde Morin: esse rimangono ancora troppo disperse e prive di un pensiero all’altezza delle sfide globali poste dal processo della mondializzazione ma sono comunque i germi, gli abbozzi di una civiltà del primato della fioritura personale, nella fraternità, dell’io nel noi. A tal fine bisognerebbe combinare il meglio dello sviluppo tecno-scientifico con le solidarietà tradizionali e le protezioni sociali, contrapponendo alla mondializzazione, che desertifica umanamente e economicamente tanti territori, la localizzazione che salvaguarda la vita delle regioni. Ci è parso significativo, nell’ambito del Festival, dare voce alle diverse iniziative che possono costituire una testimonianza della formazione di oasi della fraternità, a partire dalla creazione di ‘spazi etici’ volti a favorire la comunicazione e la solidarietà in vari ambiti sociali - medico- sanitario, giudiziario, scolastico, carcerario -, un progetto su cui il nostro Istituto è da anni particolarmente impegnato.
Intervista a cura di Tiziana Bartolini
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