Goliarda, di Angelo Pellegrino

Martedi, 16/09/2025 - Nessuno, più di Angelo Pellegrino, poteva raccontare Goliarda, sua moglie, con tanta intensità. Uniti in una relazione simbiotica, lui vent'anni meno di lei; entrambi innamorati della libertà e disposti a pagare in prima persona per rivendicare sé stessi e la propria autenticità.

C'è Roma, in queste pagine fitte, e Gaeta, ancora nuda e abbagliante, lontana dal turismo di massa. C'è la casa di Goliarda nella Capitale, le stanze in penombra, la luce che cade obliqua sul suo blocco di appunti. Lei, seduta a scrivere come faceva sempre, con il taccuino sulle ginocchia.

C'è, intero, lo sguardo luminoso di questa donna sul mondo; la sua consacrazione alla scrittura, le inevitabili delusioni e il prezzo da pagare per vivere secondo i suoi desideri.

Ci sono gli scogli appuntiti e il mare, presenza che incombe su tutto; la calce, le pietre, il sole, i corpi nudi e il tempo che slabbra i contorni delle cose, mortificandole.

Goliarda morì sola, cadendo dalle scale per un infarto al miocardio, nella casa di Gaeta. Era il 30 agosto, giorno di calura e di strade roventi: lei - a settant'anni compiuti - faceva ancora la spola tra Roma e la città di mare, costretta all'insegnamento dallo stato di indigenza in cui si trovava. Muore sola, io credo, come sempre aveva vissuto, come la sua Modesta ne "L'arte della gioia": troppo viscerale e libera per cedere a qualsiasi appartenenza, pur desiderandola.

Angelo Pellegrino ricorda Goliarda senza mai cadere nel facile sentimentalismo, e Judith, la giovane che vuole incontrarlo perché racconti la 'sua' Goliarda, è l'escamotage che l'autore usa per poter rivivere i giorni irriperibili, quando il futuro era ancora tutto da vivere.