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I terremoti e i sistemi

I terremoti e i sistemi

- La crisi del capitalismo, la dittatura della finanza e la globalizzazione irreversibile: un mondo nuovo che la sinistra non sa governare. E neppure i progressi delle donne

Giancarla Codrignani Lunedi, 17/10/2016 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Ottobre 2016

Non si sa più se ad essere stata scossa durante l'estate sia la terra, il sistema o la coscienza. Che siamo paese sismico lo sappiamo, che la corruzione raddoppi i danni per vizio italico incontrollabile, pure. Sul "sistema" invece bisogna fermarsi e ragionare un poco per non peggiorare situazioni sempre più complicate: non è che "peggio di così non possono andare", é, come diceva Gene Wilder, che potrebbe anche piovere.

In passato "il sistema" era solo capitalista e chi era di sinistra lo combatteva perché rappresentava gli interessi dei padroni. Allora la visione socialista era virtuosa e il "riscatto" rappresentava la finalità comune per i "proletari di tutto il mondo". Le donne - che sono lavoratrici - a partire dalla Resistenza, capivano che il progetto poteva essere vincente solo se integrato con la loro presenza nella direzione e si immaginavano che al volante non ci dovessero essere solo gli uomini.

Detta così, anche un bambino capisce che, per quanto si tratti di un percorso importante della storia individuale e collettiva, quella non è più la realtà. Il sistema è rimasto capitalista, ma si è sviluppato in una nuova fase, che è pericolosa ma inevitabile (quanto meno perché non si torna indietro). L'economia produttiva è stata invasa dalla finanza e il far soldi (che "in basso" condiziona tutti nel consumismo e nei mutui) si impone ai governi con la massima spregiudicatezza: i titoli-spazzatura, la bad bank che è una pattumiera, la compravendita dei debiti dei paesi in difficoltà mentre il denaro si scambia a miliardi ogni ora su internet. Il dollaro resta egemone, ma lo yen giapponese e lo yuan cinese sono entrati nella competizione; fortunatamente l'Europa ha l'euro e regge la concorrenza nel mercato divenuto anomalo, in cui il petrolio alza o abbassa i prezzi e l'oro continua a tenere banco. Tuttavia, l'Europa è un’unione, ma non "politica" e, anche se la sua Banca Centrale guidata da Draghi fa tutto il possibile, la gente non riesce a seguire i dati che la tv comunica positivi oppure negativissimi nel corso di una sola giornata: vittima delle proprie paure, si indigna oppure si avvilisce, prestando ascolto a pifferai che al grido "onestà, onestà", attaccano le autorità che cercano di reggere la barra con la moderazione necessaria quando la navigazione è tempestosa.

È la globalizzazione. La sinistra, non appena se ne diffuse la parola, l'ha maledetta. Maledire non serve se non si controllano i processi per prevenire guai. Ma la sinistra da almeno trent'anni non riflette su se stessa e rifiuta le sconfitte, come quella di un sindacato che, consapevole dei 2.300 miliardi di debiti a cui non si rimedia imponendo la patrimoniale a chi decentra la produzione o chiude, sembra giovarsi della Ces (Confederazione europea dei sindacati) meno ancora di trent'anni fa. Eppure da trent'anni il lavoro non è più lo stesso in tutti i paesi, la tecnologia ha sostituito gli operai con i robot, e per produrre i robot gli operai debbono diventare ingegneri.

Rallegrarsi perché il capitalismo, se sta degenerando, è alle corde? Anche se fosse vero, senza idee e proposte nuove, le crisi le subiscono i poveri mentre il capitalismo si riassesta su nuove posizioni. Le idee mancano e le ideologie senza il conforto della fede, non possono riprendersi il gioco quando qualcuno ha rovesciato le carte, le multinazionali sfuggono al fisco e si è allargata la forbice tra chi ha e chi non ha.

Dovrebbe tornare ovunque il primato della politica, ma il sistema stringe i freni e produce crisi di credibilità. Anche in Francia, in Germania, perfino nei paesi della giustizia sociale del Nord Europa prevale la paura, non della guerra, ma degli immigrati: il populismo agita la cosiddetta "pancia" e nessun politico in nessun paese del mondo osa nominare quei "sacrifici" un tempo virtuosi e patriottici: la Merkel rischia il suicidio politico, mentre la Le Pen ha consenso.

Battuta d'arresto? Sì, ma guai cedere alla paura e non guardare avanti, per evitare che il futuro diventi solo conflittuale. Chi è cittadino/a si sforzi di capire di più: la conoscenza e la politica - anche se sembra di merda - possono farci scegliere la via della difesa dei diritti sciogliendo nodi passo dopo passo, contraddizione dopo contraddizione. Il "sistema" può avere finito di produrre merci: deve passare a produrre benessere umano: l'antico progetto di cambiare il mondo è ancora nelle nostre mani, anche se non sarà tutto rose e fiori.

Il nostro genere è quello che, anche quando deve rinunciare, conserva l'alimentazione dei desideri. È la via, anche politicamente, migliore, tenendo conto che conosciamo bene la moderazione, soprattutto se questi tempi, pur di crisi ci consentono il pane e le rose.

Certo abbiamo ragione di essere tutte preoccupate del nostro empowerment: dentro un sistema terremotato le difficoltà sono tante per far avanzare insieme i diritti delle donne mentre il mondo va avanti per i fatti suoi. L'estate è finita con la polemica sul burkini, che non è mica l'infibulazione: non è troppo poco per femministe vecchie e nuove?

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