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Il benessere sessuale è dire, lucidamente:

Il benessere sessuale è dire, lucidamente:"sì"

Le donne vittime di violenza sono vittime della subcultura del diniego. Per un rapporto consensuale bisogna ribaltare la prospettiva. Ci vuole il lucido "sì" delle donne, non il loro "no".

Giovedi, 04/09/2025 - In occasione della giornata mondiale del benessere sessuale, 4 settembre, promossa dall'OMS e dalla WAS (World Association for Sexual Health), abbiamo intervistato per Noi Donne la dottoressa Giovanna Savarese, Psicologa Psicoterapeuta sistemico relazionale, Dirigente Psicologo ASL Roma 2.

Abbiamo rivolto a Giovanna alcune domande, per lo più incentrate sulla sua esperienza clinica presso il consultorio romano.

Cara Giovanna, la tua esperienza come figura psicoterapeutica e clinica ha messo certamente in luce alcuni aspetti fondamentali sul delicato tema del consenso sessuale. Cosa puoi dirci a riguardo?

Dalla mia esperienza, sia all’interno del consultorio che all’interno del Percorso Aiuto Donna (servizio specifico della Asl Roma 2 per le donne vittime di violenza di genere), posso dire che il tema del consenso è, purtroppo, assente. La prospettiva culturale, e quindi anche della donna che si presenta, è legata al tema del diniego e non del consenso. Le donne sono affrante soprattutto perché esse stesse, per prime, si colpevolizzano rispetto al non essere riuscire (forse!) a dire un "no" chiaro, ripetuto, netto, urlato. Non si pongono nemmeno nell’ottica di immaginare che avrebbero potuto, invece, dire un "sì". Stessa cosa l’uomo che le colpevolizza. Gli uomini suppongono che in realtà le donne “volevano”, perché non hanno detto no convincente.

Per molte di queste donne, il primo tema da smarcare è chiarire se c’è stata violenza o meno. Al di là di alcuni casi di violenza eclatante, con tanto di intervento delle forze dell’ordine e/o del pronto soccorso, la maggior parte delle situazioni è caratterizzata da una tipologia di violenza più sottile e più subdola. Il rapporto sessuale spesso si consuma tramite una forzatura di tipo psicologico, magari con l’aiuto di un bicchiere in più o di una droga. E così, i fatti, oltre che i ricordi, diventano più sfumati e la donna si sente in colpa per non aver detto quel "no" in modo incisivo e perentorio.

Ci sono quindi diversi temi che si incrociano. Nel lavoro clinico con le donne cerco di ribaltare la prospettiva e parlare di consenso esplicito, più che di diniego. Un rapporto intimo si dovrebbe consumare con il consenso esplicito, appunto, lucido ed entusiasta di entrambi, altrimenti non ci sono le basi per andare avanti. Inoltre, l’uomo dovrebbe essere aiutato già da adolescente a comprendere che un rapporto sessuale con un partner che non è pienamente cosciente (perché magari ha bevuto) o che non è convinto di quanto desidera, è una forma di violenza che degrada tutti.
 
Spesso, come tu racconti, le donne scelgono di non denunciare un abuso. Cosa c'è dietro a questo silenzio?

Le donne sono molto spaventate. Prima di tutto colpevolizzano per non aver gestito in modo diverso la situazione e poi, soprattutto nei casi dove non c’è violenza fisica, sentono di essere state troppo deboli psicologicamente. A quel punto, nel difficile campo di forze istituzionale, lo stallo è immediato: diventa la loro parola contro quella dell’altro - nei cui confronti si sentono fragili e rinunciatarie. Desistono, è chiaro, anche perché la denuncia e l’eventuale processo comporterebbero una vittimizzazione secondaria. In questo senso, la donna deve non solo raccontare, ma giustificarsi, rispondere a domande provocatorie e spesso anche umilianti, rischiando persino di perdere molti dei legami che hanno intessuto, perché a livello culturale è ancora poco chiaro quale sia il confine della violenza. Ancora si ritiene che vestirsi in un certo modo sia un invito esplicito al rapporto sessuale, che bere ad una festa sia un'esortazione al rapporto fisico, che giocare a flirtare sia un invito inequivocabile e che non si possa ad un certo punto cambiare idea.

Non abbiamo ancora la capacità culturale di pensare che una persona (nello specifico una donna) possa cambiare idea e, soprattutto, che arrivare ad avere un rapporto sessuale con una persona non del tutto pronta o predisposta, non pienamente presente a se stessa, non del tutto convinta è, semplicemente, violenza.

Cosa possiamo fare per le nuove generazioni, affinché cambi la prospettiva sull'incontro sessuale e sul benessere sessuale di persone e coppie?

Penso che la strada sia sempre l’educazione. La cultura è la base di una società, di una civiltà. Se non cambiamo i nostri pensieri non possiamo cambiare le nostre azioni. I nostri pensieri, del resto, possono cambiare solo attraverso un percorso efficace di consapevolezza. Ci dovrebbe essere in tutte le scuole, di ogni ordine e grado, uno spazio per l'educazione affettiva. Un'educazione che parta dalle emozioni, dal sentirle, dal riconoscerle e dal provare empatia per l’altro. La nostra società si è molto impoverita sul piano dell’empatia - cifra specifica dell'essere umano. I bambini, prima, ed i ragazzi, poi, devono essere aiutati a comprendere come funziona la dimensione emotiva dell’umano, a valorizzare una relazione basata sul rispetto e sulla reciprocità. Si dovrebbe parlare di affettività in una chiave sana e positiva, mentre oggi i ragazzi sentono solo ciò che viene dalla parte patologica. Dovremmo insegnare alle generazioni future che esistono relazioni sane e che viverle in modo adeguato dipende da noi.
 
Qual è il tuo obiettivo principale nel lavoro terapeutico che svolgi con le persone che a te si rivolgono?

A dire il vero, cerco principalmente di fare un po' di psicoeducazione, definendo cosa è violenza, cosa è sano, cosa ciascuno di noi merita. La parte più impegnativa del lavoro è aiutare le donne a proteggersi nella vita in generale, perché molto spesso hanno alle spalle storie familiari violente (da loro non considerate ancora tali!). Spesso, queste donne non sono allenate a leggere la realtà e a fare dei passi che le possano portare davvero al raggiungimento del proprio benessere. In generale, accolgo le donne e ascolto con empatia le loro storie difficili. Per loro, trovare uno spazio di accoglienza e di assenza di giudizio è un'esperienza nuova. E questo è già un primo passo per provare a scrivere una storia diversa.

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