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Il coraggio di Ayten Öztürk. Non lasciamola sola!

Il coraggio di Ayten Öztürk. Non lasciamola sola!

La storia delle sofferenze e del coraggio di una attivista, detenuta e torturata nelle prigioni turche

Domenica, 05/06/2022 -
Ayten Öztürk, 47 anni, giornalista e attivista socialista, è nata ad Antiochia in una famiglia arabo siriana di quindici figli. Una famiglia democratica che ha già perso tre membri per motivi politici. Ayten, dopo essere stata più volte arrestata e torturata, ha deciso di trasferirsi in Siria dove è rimasta per dieci anni. Nel 2018, a causa della guerra, ha cercato di raggiungere l’Europa attraverso il Libano, ma l’8 marzo è stata arrestata senza alcun preavviso all’areoporto di Beirut e il 13 marzo consegnata ad agenti segreti turchi che con un aereo privato l’hanno riportata incappucciata in Turchia e rinchiusa in un centro di detenzione segreto, unica donna tra tanti uomini.
Per sei mesi è stata sottoposta a gravi e sistematiche torture, violenze fisiche, verbali e gravissime molestie sessuali nell’inutile tentativo di farla parlare.
Lei racconta “Ho subito detto che non avrei mai parlato con loro in un centro di tortura. Ho detto che non avevo nulla da condividere con dei torturatori”. Consegnata alla polizia turca il 28 agosto di quell’anno è stata ufficialmente arrestata perché accusata, senza alcuna prova, di essere dirigente di una organizzazione rivoluzionaria e condotta nella prigione di Ankara in condizioni molto precarie, dato il trattamento disumano a lungo subito, le scosse elettriche, lo sciopero della fame, l’alimentazione forzata. “Ero ridotta così male che non mi hanno voluta rilasciare subito, anche se non c’erano capi d’accusa contro di me” racconta. Ricorda che, quando è arrivata, le compagne di cella hanno contato 898 cicatrici sul suo corpo. Sebbene abbia presentato una denuncia di tortura, il pubblico ministero non ha trovato motivi per un’azione legale. Ayten Öztürk ha perso 25 chili durante la detenzione.
Il 28 maggio del 2021 a Liliana Ciorra, che con lei ha un contatto diretto, dichiarava: 
“Sono in prigione da 3 anni senza un solo motivo concreto. Il motivo della mia detenzione è di nascondere le torture. E’ la realtà delle tortura e della dignità umana (calpestata) che si vuole seppellire tra le mura. Giustizia! Non rimarrò in silenzio su questa ingiustizia! Anche se la conclusione è la morte, cercherò in tutti i modi di far sentire la mia voce… Vi chiedo di non rimanere in silenzio di fronte a questa ingiustizia e di partecipare alla mia udienza che si terrà il 10 giugno 2021 presso la Corte di Assise a Istanbul  alle 13.”
Quel 10 giugno durante l’udienza purtroppo un testimone l’ha ingiustamente accusata di essere stata presente ad un linciaggio.
Ayten infine è stata comunque rilasciata in attesa di un verdetto definitivo che dovrà o meno confermare la condanna durissima a due ergastoli. Da allora è agli arresti domiciliari e le è stata messa una cavigliera elettronica che le crea non pochi problemi.
Qualche giorno fa, il 3 giugno, sono state vergognosamente respinte le sue richieste per le cure in ospedale di cui ha assoluto bisogno a seguito delle torture. 
La sua richiesta rivolta a noi di non rimanere in silenzio, di far conoscere la sua voce interroga tutte e tutti. Di fronte ai tanti, troppi casi in Turchia di negazione dei diritti umani, di tortura e detenzioni illegali in cui le donne sono bersaglio particolarmente oltraggiato e silenziato, la storia di Ayten va conosciuta come esempio emblematico di coraggio e di coerenza. La sua è una lotta a cui obbliga il rispetto di sé in quanto essere umano, la convivenza civile, la pratica democratica.
La sua denuncia non può, non deve cadere nel vuoto, ma essere sostenuta da tante e tanti, a livello internazionale e non solo in nome della solidarietà. E’ una questione che tocca direttamente anche noi poiché il germe della sopraffazione, dell’autoritarismo e del fascismo non conosce frontiere e, ovunque esso sia, rischia di espandersi, di contaminare e minare alle basi la forma e la sostanza della fragile democrazia così duramente conquistata in tanti paesi, compreso il nostro. 
Rosanna Marcodoppido 
 

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