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Il sorpasso delle artiste alla Biennale d’Arte di Venezia 2019

Il sorpasso delle artiste alla Biennale d’Arte di Venezia 2019

Alla 58esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, aperta dall’11 maggio al 24 novembre 2019, per la prima volta il numero delle artiste supera quello degli artisti

Lunedi, 13/05/2019 - “May You Live in Interesting Times”, si intitola così la 58esima Esposizione Internazionale d’Arte di Venezia, inaugurata l’11 maggio e aperta fino al 24 novembre 2019 ai Giardini e all’Arsenale. A lungo creduta in Occidente un’antica maledizione cinese, l’espressione “Che tu possa vivere in tempi interessanti” è stata, in realtà, inventata negli anni Trenta da un diplomatico inglese. Si tratta dunque di una fake news ed è proprio questa natura ingannevole, insieme alla sfida insita in ogni minaccia, che ha indotto il curatore della mostra internazionale, il 62enne americano Ralph Rugoff, direttore dal 2006 della Hayward Gallery di Londra, ad adottarla come viatico.
Partendo dunque da quest’idea ispiratrice, il curatore ha invitato 79 artisti, tutti viventi (e più della metà sono donne), scelti perché in grado di stimolare con i loro lavori la riflessione e contrastare quell’eccesso di semplificazione che ha ormai polarizzato il discorso politico contemporaneo.
Secondo Rugoff, infatti, l’arte ha una funzione sociale nel senso che insegna a esercitare il pensiero critico, a moltiplicare i punti di vista e ad ampliare la propria visione del mondo. In quest’ottica il curatore ha anche rinnovato in modo originale il format della mostra. Ogni artista risulta infatti presente in entrambe le sedi espositive, cioè espone sia all’Arsenale che nel Padiglione centrale ai Giardini, così da poter mostrare aspetti diversi del proprio lavoro. Un’ottima idea, che però non sempre funziona, perché talvolta, visivamente, si verifica piuttosto una ripetizione, come nel caso, peraltro affascinante, delle gemelle australiane Christine e Margaret Wertheim, autrici di fantastici modelli tridimensionali della barriera corallina realizzati all’uncinetto.
E qui entriamo subito nel vivo di questa Biennale, che appare sotto il segno di una vulnerabilità condivisa, dove accanto alle questioni politiche e sociali, dai migranti ai femminicidi, emergono con insistenza le tematiche legate all’ambiente, dai mutamenti climatici ai rifiuti plastici negli oceani, e le paure connesse allo sviluppo dell’intelligenza artificiale e ai rapporti tra l’organico e il meccanico.
Ha fatto già molto discutere, ad esempio, il progetto Barca Nostra (2018-2019) dello svizzero Christoph Büchel, che all’Arsenale espone il relitto di un peschereccio carico di centinaia di migranti naufragato nel canale di Sicilia il 18 aprile 2015; tragico memoriale delle migrazioni contemporanee. La messicana Teresa Margolles presenta invece nel Padiglione centrale ai Giardini pezzi di un muro di cemento crivellato di buchi di pallottole, proveniente dalla famigerata Ciudad Juárez, mentre all’Arsenale espone La Búsqueda (2014), un’installazione realizzata con dei vetri recuperati dal centro della città, tappezzati di manifesti con i volti di donne scomparse.
La Biennale ha attribuito quest’anno a Margolles una delle due menzioni speciali (l’altra è andata all’artista nigeriana Otobong Nkanga) e lei nella cerimonia di premiazione ha dedicato il riconoscimento a tutte le donne assassinate.
Proprio di fronte al muro di Teresa Margolles, nel cuore del Padiglione centrale, un robot industriale chiuso in una gabbia di vetro muove minaccioso un braccio meccanico. Programmato dal duo cinese Sun Yuan e Peng Yu, il robot ha il compito di mantenere entro un certo perimetro un liquido rossastro che tende a scolare in tutte le direzioni. Il titolo dell’opera, Can’t Help Myself (2016), fa di questa installazione una metafora di una condizione esistenziale frustrante che accomuna uomini e macchine.
L’artista tedesca Hito Steyerl intreccia tra loro tematiche politiche, sociali ed ecologiche nella spettacolare installazione multimediale This is the Future (2019) all’Arsenale; ai Giardini si interroga sull’uso dell’intelligenza artificiale nell’installazione ambientale Leonardo’s submarine (2019).
Nell’economia generale della mostra, sempre più globalizzata, le presenze italiane sono due: Lara Favaretto e Ludovica Carbotta. Entrambe caratterizzate da una produzione artistica poliedrica, Favaretto in particolare appare tra quegli artisti che meglio hanno saputo cogliere la possibilità offerta da Rugoff di presentare lavori diversi nelle due sedi. Carbotta invece espone solo all’esterno dell’Arsenale, dove ha collocato, capovolta, una torretta di guardia, mentre l’altro suo intervento è un progetto speciale nell’ex polveriera di Forte Marghera.
La mostra internazionale è affiancata, come sempre, dalle Partecipazioni nazionali, che quest’anno sono 90 (ma il Padiglione del Venezuela era tristemente chiuso, forse aprirà più avanti), disseminate tra gli storici padiglioni ai Giardini, quelli sistemati all’Arsenale e in altre sedi sparse per la città.
Entrando nel Padiglione italiano, alle Tese delle Vergini, in Arsenale, si viene accolti dalla canzone Bella Ciao, cantata in quindici lingue, un’opera audio (2010) di Liliana Moro, che non lascia indifferenti.
Oltre a Liliana Moro, il curatore Milovan Farronato ha scelto per rappresentare l’Italia Enrico David e la compianta Chiara Fumai. I lavori dei tre artisti si scoprono avventurandosi lungo un suggestivo percorso labirintico, che bene incarna lo spirito del tempo.
Come si diceva, la fragilità del pianeta, e degli esseri che lo abitano, è un tema che anima molti interventi. Solo per fare qualche esempio: il Padiglione francese presenta l’intenso, onirico e nostalgico progetto multimediale intitolato Guarda questo blu profondo che ti circonda di Laure Prouvost.
Il Padiglione delle Filippine, propone Island Weather, un affascinante ambiente immersivo ispirato al suo arcipelago, realizzato da Mark Justiniani.
Il Padiglione del Giappone offre, con Cosmo-Eggs, una riflessione a più voci sulla relazione uomo-natura in rapporto al fenomeno dello tsunami e anche il Padiglione dei Paesi Nordici (Finlandia, Norvegia, Svezia) è incentrato sulla necessità di ripensare i rapporti tra le diverse forme di vita del pianeta.
Completamente diversa è invece, ad esempio, la scelta del Padiglione austriaco, affidato a Renate Bertlmann, artista femminista che dagli anni Settanta indaga con ironia la relazione tra i sessi.
Comunque il Leone d’oro è andato, meritatamente, al Padiglione della Lituania, curato dall’italiana Lucia Pietroiusti e ideato da tre artiste che hanno messo in scena Sun&Sea (Marina), un’opera lirica per 13 voci ambientata su una spiaggia artificiale allestita in un magazzino della Marina Militare aperto per la prima volta al pubblico (la performance si terrà ogni sabato). Anche in questo caso, sebbene non immediatamente evidente, la tematica ecologica traspare dai testi delle canzoni dei performers.
Tuttavia la principale novità di questa edizione è che, per la prima volta nella storia della Biennale d’Arte di Venezia (inaugurata nel 1895), il numero delle artiste invitate supera quello degli artisti. E proprio su questo tema appare assai stimolante il progetto speciale dell’artista polacca Marysia Lewandowska, dal titolo eloquente Era ora (2019), in mostra all’Arsenale nel Padiglione delle Arti Applicate. Lewandowska ha svolto una ricerca negli archivi della Biennale e consultando i documenti ufficiali relativi al dibattito culturale sorto intorno alla nascita dell’istituzione è rimasta colpita dall’assenza pressoché assoluta delle voci femminili, sebbene all’epoca figure come la duchessa Felicita Bevilacqua La Masa avessero espresso con chiarezza la loro posizione. L’artista ha dunque immaginato e messo in scena, attraverso un’installazione audiovisiva, una versione alternativa alla storia ufficiale della Biennale (la definisce una “storia aumentata”), ri-scritta con dei gruppi femministi veneziani per restituire finalmente voce alle donne.
Naturalmente durante la Biennale le esposizioni si moltiplicano in tutta Venezia, ma sulle artiste vale la pena ricordare in particolare le mostre di tre americane, ormai leggendarie: la pittrice Helen Frankenthaler (1928-2011) a Palazzo Grimani (fino al 17/11); la scultrice Beverly Pepper (1922) allo Spazio Thetis (fino al 24/11) e l’installazione multimediale dedicata agli oceani di Joan Jonas (1936) nella Chiesa di San Lorenzo (fino al 29/9). Si segnalano inoltre le mostre di due italiane: la grande fotografa Letizia Battaglia (1935) alla casa dei Tre Oci (fino al 18/8) e Chiara Dynys (1958), che nella Sala delle Quattro Porte al Museo Correr presenta un intenso progetto fotografico realizzato nei campi profughi di Sabra e Shatila in Libano (fino al 24/11).
Infine Renata Morales e Marina Abramović sono presenti con un’installazione ciascuna alla Galleria Cà Rezzonico (fino al 6/7). In particolare Abramović con Rising (2017) esplora gli effetti dei cambiamenti climatici.
Sito web ufficiale della Biennale Arte 2019: www.labiennale.org

Biennale di Venezia 2019
didascalie

1. Sun&Sea (Marina). Opera lirica per 13 voci. Veduta interna del Padiglione della Lituania alla Biennale Arte di Venezia 2019 (Foto Flavia Matitti).

2. Particolare dell’installazione di Teresa Margolles, La Busqueda (2014), Arsenale, Biennale Arte di Venezia 2019 (Foto Flavia Matitti).

3. Veduta dell’installazione di Hito Steyerl, Leonardo’s Submarine (2019), Padiglione centrale ai Giardini, Biennale Arte di Venezia 2019 (Foto Flavia Matitti).

4. Weather Report. Veduta interna del Padiglione dei Paesi Nordici, Biennale Arte di Venezia 2019 (Foto Flavia Matitti).




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