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Il teatro come non lo abbiamo mai visto: intervista a Simona Garbarino

Il teatro come non lo abbiamo mai visto: intervista a Simona Garbarino

Al Festival di Bioetica l’autenticità della parola poetica e la valenza trasformativa del teatro nel mondo di una pedagogista e ricercatrice nel campo della relazione di cura e di aiuto

Sabato, 01/08/2020 - I campi di indagine di Simona Garbarino sono la pedagogia teatrale, il teatro e la disabilità, il teatro sociale. È impegnata nella formazione in qualità di docente di educazione alla teatralità, nella supervisione di professionisti della relazione di cura e di aiuto, ambiti su cui ha scritto libri. Poi c’è l’amore per la scrittura autobiografica e per la poesia, vissuta anche come strumento pedagogico e terapeutico. È uscito recentemente “Poesie del risveglio” (ed Zona Contemporanea), prima pubblicazione in versi. Garbarino porterà la sua multiforme esperienza al Festival di Bioetica (Santa Margherita, 27 e 28 agosto 2020, organizzato dall'Istituto Italiano di Bioetica) con una performance di cui, attraverso questa intervista, proviamo a cogliere particolari aspetti e significati.

Teatro, poesia, cura... come crea le relazioni tra queste parole?
Mi sono formata come attrice e come pedagogista quasi contemporaneamente: l’intreccio tra la pedagogia e il teatro è stato spontaneo e foriero di scoperte. A venti anni ho scoperto la valenza autoeducativa e trasformativa dello strumento teatrale: far teatro mi educava ad un nuovo modo di vedermi e di sentirmi....ma anche un modo nuovo di sentire l’Altro e il mondo.
Studiare il pensiero dei grandi registi-pedagogisti del Novecento mi ha permesso di accedere a ricerche più ampie, più ricche e complesse...sicuramente propulsive e filosoficamente orientate. La sensibilità nei confronti del linguaggio teatrale mi ha poi avvicinata alla poesia, alla sua capacità di vedere l’oltre, l’inusitato, al grande respiro della metafora, del simbolo, della parola scelta. Questo processo mi ha suggerito la possibilità di utilizzare una lente immersiva ed esplorativa anche nei territori complessi e delicati della cura.

Cosa vuol dire 'pedagogia teatrale' e in che modo la mette in pratica nelle sue attività?
La pedagogia teatrale è un modo di educare l’essere umano attraverso gli strumenti della ricerca teatrale. È lì che il teatro diventa strumento per indagare il “ Chi sono”, per porsi domande, per dilatare la ricerca, per accedere ad una radura esperienziale extraquotidiana ed extraordinaria. Come insegnava Grotowski quando diceva: “Non è il teatro che è necessario ma assolutamente qualcos’altro: superare le frontiere tra me e te (...)”. Il teatro come opportunità, come luogo dell’essere, come incontro con l’Altro da me.
Intendendo il teatro come mezzo potentemente maieutico ed educativo, è stato naturale per me declinarlo anche in contesti formativi (scuola, università, Terzo Settore, ...impegnandomi soprattutto nei confronti di professionisti coinvolti nella relazione di cura e di aiuto).

Perché si dedica alla divulgazione poetica? Cosa è per lei la poesia?
Amo la poesia da sempre. Da semplice lettrice e fruitrice ho sempre intuitivamente colto l’aspetto lenitivo, consolatorio ma anche rivoluzionario della parola poetica: una parola che può essere farmaco ma anche schiaffo, urlo, protesta. La ricchezza e la potenza della parola poetica possono risvegliare, blandire, accompagnare, scuotere, confermare. Nella parola poetica si possono trovare assonanze, somiglianze, ci si può stupire. C’è spazio per le lacrime e per la guerra, per il risveglio e per la fuga. La parola poetica ambisce all’autenticità: per questo a volte può anche risultare scomoda, inopportuna, faticosa...ma è pur sempre un bell’esercizio dello spirito. La poesia richiede di disvelarsi ai propri occhi: questa è la parte più faticosa e più feroce, un passaggio ineludibile senza il quale non si può fare poesia. Ho cominciato a scrivere tardi, dopo i cinquanta anni...per urgenza, per necessità, forse era il momento giusto. Ma scrivere poesia ha dei costi. Non si scrive per diletto: si scrive per urgenza, a volte per disperazione. Leggerne e scriverne non seguono lo stesso percorso, non ricalcano le stesse orme. Erri De Luca ha scritto: “Sono predisposto al soccorso della poesia, che non è un'arte di arrangiare fiori, ma urgenza di afferrarsi a un bordo nella tempesta. […]” Ecco potrei sottoscrivere queste sue parole.
In virtù di tutto questo, da tempo ormai inserisco la poesia anche nei contesti formativi e nei contesti di supervisione. La poesia (leggerne e scriverne) offre occasioni di autoconoscenza incredibilmente vaste.

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