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La vergogna e la speranza

La vergogna e la speranza

Appunti da Manutenzioni-Uomini a nudo

Lunedi, 30/05/2016 -
La vergogna e la speranza



di Monica Lanfranco



Ogni volta che, ormai da tre anni senza interruzione, si spengono le luci nel teatro dove si realizza la pièce Manutenzioni-Uomini a nudo, il primo progetto per uomini non attori contro la violenza sulle donne con il quale sto girando l’Italia, si rinnova la convinzione che è stata un’intuizione giusta, quella di fare un copione dal libro Uomini che odiano amano le donne, e che i pregiudizi e le resistenze che ci sono, (e ci saranno), verso il progetto sono una parte importante del percorso.

A Soverato, il punto più a sud dove è arrivata la proposta, la partecipazione è stata sorprendente: il delizioso teatro del Grillo, ricavato in un antico frantoio, si è riempito quasi del tutto per ben due volte, alle 18 e alle 21, pur essendoci in contemporanea due eventi assai forti, come una partita di calcio e una processione.

Eppure le persone sono arrivate, (senza media mainstream a favore) e, specialmente nella replica serale, molti sono stati gli uomini, e molti anche i giovani.

In ogni luogo delle ormai 25 repliche in altrettanti città, dal 2013, c’è un dettaglio peculiare che contraddistingue l’esperienza di conoscenza, relazione e lavoro con i manutentori, con chi organizza l’evento e con la comunità locale: a Soverato posso dire che il gruppo di uomini, partiti numerosi e poi rimasti in sette, ha dimostrato forse più che in altre situazioni una capacità di autonomia e di cura inusuale.

Spesso, in questi anni, è accaduto che alcuni uomini sentissero il senso della partecipazione al progetto in modo molto forte: a Soverato, però, il gruppo è andato oltre. Certamente la cura e l’impegno dimostrati nei mesi di preparazione sono cresciuti grazie alla dedizione delle fondatrici della Biblioteca delle donne, un collettivo inedito nel quale convivono donne provenienti da mondi diversi, associazioni di imprenditrici, insegnanti e collettivi femministi: un mix potenzialmente divisivo che invece ha trovato un suo punto di forza nel previlegiare il progetto piuttosto che le appartenenze.

Manutenzioni-Uomini a nudo è stato scelto dalla Biblioteca per celebrare e festeggiare i vent’anni di attività, una preziosa coincidenza, visto che anche Marea ha compiuto da poco la stessa età.

Nonostante l’assenza di aiuto economico da parte delle istituzioni locali (sebbene la biblioteca si trovi proprio dentro al palazzo del Comune) l’associazione ha voluto Manutenzioni-Uomini a nudo, come ha sottolineato Lilly Rosso, presidente della Biblioteca, per proporre uno sguardo radicalmente diverso sul tema della violenza maschile.

Nello spazio pubblico, infatti, le voci femminili sono diversificate e forti da molti anni, mentre immane è il silenzio degli uomini sull’argomento.

Passare dalla percezione della violenza di genere da ‘questione femminile’ a ‘questione maschile’ è uno dei nodi più difficili da sciogliere, perché non si tratta di fare nuove leggi ma di capovolgere l’ordine del discorso, nei simboli come nei comportamenti quotidiani: il sessismo, dal linguaggio fino ad arrivare al femminicidio, è un veleno che lambisce tutti gli ambienti sociali, nessuno escluso, e che si nutre della sottovalutazione e dell’indifferenza collettiva.

Proprio mentre andavamo in scena si è consumato l’ennesimo femminicidio: un’altra giovane uccisa dall’ex fidanzato che non ha retto l’abbandono, condannata ad una morte atroce anche, sembra, dalla violenta indifferenza di chi non l’ha soccorsa.

La provocazione, (perché è anche questo), offerta da Manutenzioni-Uomini a nudo nel far parlare uomini che fanno proprie parole e pensieri di altri uomini sulla sessualità, sulla virilità, sulla violenza sta nel suo smuovere emozioni, rimescolare contraddizioni, aprire conflitti.

Nell’intervallo tra uno spettacolo e l’altro è ricomparsa la questione della frase: ‘Mi vergogno di appartenere al genere maschile’, presente in un momento della piece.

Trovo sempre molto interessante, e importante, che sorgano spunti di polemica tra il pubblico, (o tra i manutentori) su alcuni passaggi del copione, che altro non è che la messa in scena di alcune tra le 1800 risposte date da 300 lettori del mio blog a sei domande su sessualità, virilità, pornografia e violenza maschile.

Non sempre, ma talvolta, quella frase suscita reazioni infastidite: “Io, - dicono alcuni -, non mi devo vergognare di nulla”.

Eppure uno dei problemi del mondo maschile, culturalmente ed educativamente parlando, è proprio questo: l’assenza di consapevolezza della propria appartenenza al genere che fa violenza. Il non ‘sentire’, né essere persuasi, che per mettere in atto il cambiamento è necessario attraversare il deserto emotivo del fallimento che ogni violenza fatta da un uomo su una donna porta con sé.

Quella frase non inchioda ogni uomo in una condizione immutabile, né pronunciarla significa dichiararsi violenti soggettivamente. E’ l’inizio della presa di distanza dalla violenza, al contrario di come essa possa suonare la prima volta.

Se l’inadeguatezza che il provare vergogna genera è la parte più dura da sostenere c’è, però, un altro aspetto di questa emozione: quello trasformativo.

Se mi vergogno sto capendo nel profondo che quel comportamento, (quelle parole, quel sistema di valori che hanno generato la violenza, quale che essa sia), va cambiato.

E’ questo il passaggio che quella frase mette in moto, nell’assumere per un attimo in modo cosciente il peso di una realtà che certamente non concerne concretamente gli uomini che la pronunciano, (o che l’hanno scritta), ma che pure li riguarda, come genere.

Molte delle risposte alla domanda: “Cosa provi quando leggi di uomini che violentano le donne’” sono reazioni di forte distanza: “Rabbia, repulsione, odio, schifo”. Ma uno tra loro ha risposto: “mi vergogno di appartenere al genere maschile”.

Quel ‘mi vergogno’, quell’ apparente desistere, e restare (sembra) immobile, è invece, io penso, il germoglio di un’assunzione di responsabilità indispensabile per entrare in contatto con chi la violenza l’ha subìta, con l’altra da sé, con il femminile.

Dopo la vergogna c’è il compatire, il condividere la sofferenza; da qui si può iniziare un cammino di empatia, e quindi di mutamento.

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