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Le bambine e la violenza di genere

Le bambine e la violenza di genere

Corso operatrici primo ascolto, elaborato finale, Torre Santa Susanna; maggio 2022

Mercoledi, 18/05/2022 - Giro giro tondo casca il mondo casca la terra tutti giù per terra.
“Non ti sporcare, ma guarda come sei tornata, sei tutta sporca, sembri un maschiaccio”.
Inizia così la storia di ogni bambina che a 4 o 5 anni comincia a giocare nel cortile, vicino casa, dalla nonna, al mare o in montagna.
Ci chiediamo come mai ancora oggi c’è questa mattanza di donne, questo numero altissimo di vittime che grida giustizia. Forse nelle discussioni e convegni lasciamo indietro le bambine, non le nominiamo. Più innominate delle donne.
Ma che bel castello marcondirondirondello, ma che bel castello marcondirondirondà
“Ma come sei bella, che bei codini, che bella bicicletta rosa”, dice la vicina di casa mentre vede un papà orgoglioso della propria prole mentre torna con la figlia dal parco. “Cara signora ne farei mille di figli così, Geneviève è buona, ubbidiente, non fa mai capricci; sa che dobbiamo tornare a casa dopo aver giocato con lo scivolo e l’altalena: la regola è questa”.
Da lontano una mamma si dispera perché l’amichetto di Geneviève non ne vuole sapere di tornare a casa, si contorce, lascia la manina, corre e viene riacciuffato dalla mamma disperata. Si guardano col papà di Geneviève e sorridono dicendo che è proprio un monello. Quel bambino si fa sentire, dice il papà, sarà un osso duro da grande, con un viso compiaciuto, complice. Tutto un altro pensiero rispetto a quello della figlia, rispetto alla gabbia che a poco a poco si sta costruendo intorno alla bambina: quella di femminuccia perfetta e ubbidiente. La bimba penserà che più sarà ubbidiente e più sarà amata, e non è solo il pensiero della piccola Geneviève.
Crescono i fiori di loto che noi raccoglieremo per dare a te tra tutti i fiori di loto lo sai quelli più belli li diamo a te
Non è solo il pensiero piccolo e semplice di una bimba piccola come Geneviève, ma di tutte le bimbe che agli occhi del papà e della mamma non si sporcano, non discutono, non gridano. Stai gridando come una pazza. Per il bambino: sei proprio un monello.
Va premiata la gentilezza e modestia della bambina, l’esuberanza e la libertà del bambino. Sono iniziate le spaccature e crepe tra questi due mondi.
La bambina conterà uno, due, cento volte prima di dare una risposta che possa fare arrabbiare i genitori, sarà paziente, cercherà di capire, starà nei margini anche col marito o compagno in futuro. Sarà paziente anche nei suoi scatti di rabbia, di un lui che torna rabbioso da lavoro non si sa per cosa. Sarà perfetta con lui e i figli per non farli arrabbiare. “Invece di andare dalla tua amica mi potevi stirare le camicie”, dice un figlio maggiorenne alla madre, lo ha sentito dire da suo padre. Ecco la catena che non si spezza. E le camicie vengono stirate, come una storia telecomandata.
Questa la storia di Geneviève da adulta. Lei non vuole essere causa di dispiaceri per nessuno, non è nata per questo. Non finisce nemmeno i pensieri per se stessa, per non essere la bambina che ha paura di essere, la Geneviève donna, questo sarà. Conterà sempre prima di parlare. Uno, due, tre, venti, cento.
Corri Cappuccetto corri cappuccetto corri Cappuccetto che ti salverai. Ma io non ho paura io voglio andare dalla mia nonnina che mi aspetterà. Corri Cappuccetto corri Cappuccetto corri Cappuccetto che ti salverai.
Quanta paura mentre corre Geneviève al giro giro tondo, sulla strada in fondo al cortile, non è abituata a correre e sfuggire, è abituata ad accogliere. “Quasi quasi mi faccio prendere subito” dice, e si fa acciuffare dal compagno che la insegue.
Da grande, durante i litigi col compagno si farà acciuffare subito, meglio che continuare i litigi, se mi faccio docile lui ritorna come prima. Come mio padre che mi elogiava davanti agli amici perché ero una brava bambina.
È così che Geneviève percorre storie di tanti anni fa col nastro superotto. Il fruscio di celluloide riscrive sul muro giochi di bimbe, svolti allegramente nelle afose sere d’estate. “Avevamo canotte bianche e capelli legati con margherite colorate; nelle mani corde per saltare e gesso per disegnare il gioco della campana, giochi che non ci facevano sporcare più di tanto, giochi da fare in piedi, senza correre o sguazzare nel fango; in lontananza mio fratello giocava a pallone con gli amici mentre noi continuavamo a gridare insieme:
uno, due tre salta, uno due tre salta, uno due tre salta.
Elena Manigrasso,

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