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Le decisioni europee contrastanti sull’applicazione della 194 in Italia

Le decisioni europee contrastanti sull’applicazione della 194 in Italia

La recente risoluzione europea, "assolutoria" dell'Italia sull'attuazione della 194, stride con i recenti casi portati all'attenzione dell'opinione pubblica

Lunedi, 18/07/2016 -
Con molta enfasi, da parte di quanti vorrebbero che i diritti riproduttivi delle donne italiane abbiano una tutela parziale, è stata presentata quale una vittoria la recente decisione del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa al riguardo allo stato di applicazione della legge 194 nel Paese. Dopo la condanna definitiva dell’Italia, con decisione resa pubblica lo scorso 11 aprile, ad opera del Comitato europeo dei diritti sociali per violazione dell’art. 11 della Carta, ossia del diritto alla salute delle donne che intendono sottoporsi ad interruzione di gravidanza, il Governo è stato ascoltato dal Comitato dei Ministri nel mese successivo per illustrare nuove deduzioni a suo favore. Nel testo della conseguente risoluzione del 6 luglio scorso si legge che tale organismo comunitario “prende atto delle informazioni fornite e accoglie con favore gli sviluppi positivi”. Andando, però, a leggere le tesi a suffragio della positività di tali sviluppi, parrebbe che i dati e le argomentazioni fornite dai rappresentanti governativi siano gli stessi che, presentati a settembre al cospetto del Comitato europeo dei diritti sociali, non ne avevano evitato la correlata riprovazione. Una domanda allora sorgerebbe spontanea, ossia in seno alle istituzioni europee i numeri si interpretano diversamente a seconda dei mesi dell’anno oppure a seconda degli organismi comunitari chiamati a decidere?

Provando a scendere nello specifico della risoluzione dello scorso 6 luglio, v’è innanzitutto da precisare preliminarmente che questa decisione non toglie efficacia definitiva alla condanna da parte del Comitato europeo dei diritti sociali. Quanto da esso esternato nello scorso aprile, ovvero che “sussistono palesi responsabilità delle istituzioni pubbliche italiane nella lesione dell’effettivo esercizio del diritto alla protezione della salute (ndr per la scarsa attuazione della legge 194), tutelato dall’art. 11 della Carta sociale europea”, assume le vesti di un’immutabile condanna. Tant’è che, ove questo fosse confutato da quanti oggi gridano all’assoluzione del governo, non si comprenderebbe il motivo per il quale nella seconda parte della recente risoluzione si legge che il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa “attende con interesse la segnalazione al Comitato dei diritti sociali nel 2017”. Chiaro è che, se lo stato d’applicazione della 194 in Italia rimanesse eguale a quanto denunciato dalla Cgil nel ricorso che ha dato adito alla pronuncia dello scorso aprile, il Comitato europeo dei diritti sociali non potrebbe che nuovamente reiterare la medesima sentenza di condanna.

Forse che è di natura politica la recente assoluzione dell’Italia da parte del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa? La risposta viene lasciata agli eventuali commentatori, di certo è che questa decisione stride con i recenti episodi che i media hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica. Così è per il caso di Trapani, scoppiato prima del 6 luglio, ove per l’assenza dell’unico ginecologo non obiettore del locale ospedale Sant’Antonio Abate, punto di riferimento dell’intera provincia per le interruzioni di gravidanza, il direttore generale dell’Asp è stato costretto a ricorrere ad un altro medico proveniente dall’ospedale di Castelvetrano. Con la conseguenza che un solo turno giornaliero, di poche ore a settimana, parrebbe non soddisfare le richieste delle utenti. Come, difatti, potrebbe effettuarsi un aborto terapeutico in loco, ove la prima pastiglia venga somministrata nel giorno di servizio del medico e le successive distribuite in assenza del sanitario? Cosa dovrebbero fare in questo caso le donne interessate, se non lamentarsi per la mancata effettuazione di un servizio che rientra nei Livelli Essenziali d’Assistenza? Per non parlare degli aborti terapeutici, che sarebbero semmai dirottati su altri presidi ospedalieri, magari di altre provincie?

Il caso Trapani diviene allora esemplificativo delle ragioni per le quali l’Italia è stata condannata ad aprile. Difatti, a detta del Comitato europeo dei diritti sociali, il Paese deve impegnarsi a porre in essere “le adeguate misure volte in particolare ad eliminare per quanto possibile le cause di una salute deficitaria”, così come recita il primo comma dell’art. 11 della Carta sociale dei diritti. Conseguentemente l’Italia rimane ancora sotto osservazione nonostante i numeri e le argomentazioni a suffragio della decisione favorevole del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, dello scorso 6 luglio. E’ la realtà concreta dei diritti e dei bisogni negati che la fa attenzionare dall’Europa e negare questa evidenza vuol dire dare una lettura sbagliata dei fatti correlati alla insufficiente applicazione della 194 in Italia. Come quella per la quale, a detta dei dati forniti dal Ministero della Salute alla base della recente “assoluzione”, i medici non obiettori effettuano di media 1,6 (relazione ministeriale d’ottobre 2015) o 1,7 (informativa governativa di maggio 2016) aborti a settimana, mentre nella realtà c’è, ad esempio, una ginecologa che ne compie 550 all’anno. I numeri di certo non sono un’opinione semmai le argomentazioni ad essi correlati. Ma, si sa, questa è tutta un’altra storia.

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