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LIBERE, AUTODETERMINATE E VIGILI: IL MOVIMENTO NON SI ARRENDE ALLA POTENZA DEI NEOCONSERVATORI

LIBERE, AUTODETERMINATE E VIGILI: IL MOVIMENTO NON SI ARRENDE ALLA POTENZA DEI NEOCONSERVATORI

Con Giorgia Serughetti ragioniamo sui pericoli reali per le donne di arretrare sul terreno dei diritti conquistati che le forze reazionarie provano a cancellare, anche manipolando le parole d’ordine del femminismo

Giovedi, 13/11/2025 -

"Penso che l'autodeterminazione continui ad animare molti desideri, lotte, capacità delle donne di auto-organizzarsi e di fare movimento; ma non c'è dubbio che il contesto internazionale è di un attacco frontale all'autodeterminazione, soprattutto sul versante delle libertà sessuali e riproduttive che è diventato un fronte di lotta su cui si misurano da un lato le forze di una destra reazionaria con tendenze autoritarie che mira apertamente a riportare i corpi delle donne sotto controllo e dall'altro i movimenti femministi”. Giorgia Serughetti, Docente di Filosofia politica all’Università Bicocca di Milano, fotografa l’attualità in prospettiva femminista sullo ‘stato di salute’ dell’autodeterminazione, condizione imprescindibile per una vera libertà delle donne.

Rispetto alla violenza di questo attacco, come reagiscono le donne e i movimenti?

“In alcuni casi, soprattutto in passato, sono riusciti a tenere l'argine. Penso alla forza che ha avuto il movimento delle donne in Polonia contro i tentativi del partito Diritto e Giustizia di restringere le libertà giuridicamente riconosciute in materia di interruzione di gravidanza o all’annullamento della sentenza Roe v. Wade nel 2022 in USA, che ha di fatto eliminato il diritto costituzionale all’aborto. Le donne ovunque hanno continuato le loro battaglie e tuttavia si trovano sempre più spesso di fronte a forze sempre più grandi, a governi che rispondono all'agenda politica dei movimenti ultraconservatori che rappresentano un bacino di consenso elettorale e hanno ramificazioni internazionali attraverso cui trasferiscono da un paese all'altro parole d'ordine, pacchetti comunicativi e strategie di lotta anti-abortista. Dunque il desiderio di autodeterminazione è più vivo che mai ma, scontrandosi con un contrattacco formidabile, sembra in affanno. La realtà è che i nemici si sono fatti più forti. Per certi versi quello che sembra essere carente sul versante delle lotte femministe è una pari capacità di muoversi con una mobilitazione transnazionale senza, contemporaneamente, dimenticare il livello locale. Tornando in Italia, e considerando la saldezza del governo di destra, non possiamo sottovalutare i temi delle politiche che coinvolgono le libertà delle donne a livello territoriale. Quindi il compito è impegnativo, ma dobbiamo essere capaci di stare a tutti questi livelli”.


Tra le strategie di queste forze ultraconservatrici c’è anche l’appropriazione di quelle che erano parole del femminismo…
“È chiara la strategia di appropriazione e distorsione del lessico progressista e femminista per condurre battaglie che vanno, appunto, nella direzione della restrizione dei diritti e della libertà delle donne. Il caso dell'aborto è particolarmente significativo, se osserviamo le campagne dei gruppi Pro Vita e simili che fanno leva su significanti positivi, come la salute delle donne oppure sull'aborto selettivo alludendo al femminicidio. O, ancora, quando evocano la violenza contro i bambini per bloccare strategie di educazione all'affettività e alla sessualità. Un uso propagandistico di parole d'ordine femministe, ma rovesciate nel loro significato; alle spalle di questa strategia comunicativa ci sono decenni in cui i movimenti, soprattutto anti-abortisti, hanno lavorato per appropriarsi del linguaggio dei diritti studiando il modo di invertire il significato e facendolo apparire come un ampliamento delle libertà. Per cui sostengono che il riconoscimento giuridico dell'embrione e del feto sarebbe l’allargamento di un diritto, quando in realtà è un passaggio propedeutico alla restrizione della libertà delle donne di accedere all’interruzione volontaria della gravidanza. Meloni e Roccella aderiscono a questa risignificazione e, infatti, parlano di aggiungere un diritto accentuando quanto prevede la legge 194 circa la prevenzione dell’aborto, ma non intervenendo sulla sua piena applicazione che è minata dall’obiezione di coscienza, così rispondendo alle pressioni di gruppi religiosi e neoconservatori che sostengono il governo. Sarebbe necessario ragionare sulla revisione della norma per metterla al riparo da questi attacchi, ma oggi non ci sono le condizioni nel Parlamento”.

 
Veniamo così al tema di queste donne di destra e di potere alle quali non si può certo dire che non siano autodeterminate. Che ne pensi?

“Sono sicuramente donne emancipate, anche con una misura di autodeterminazione, e non c'è dubbio che portino avanti modelli di forza femminile, di successo e di capacità femminile di farsi valere nel mondo. Le agende politiche di queste donne - oltre a Meloni penso a Marine Le Pen o a Alice Weidel - sono reazionarie; apparentemente è un paradosso che donne emancipate parlino di famiglia tradizionale. In realtà il paradosso viene meno se si considera che queste donne rappresentano la propria come un’ascesa individuale, non come un'impresa collettiva. Giorgia Meloni vuole affermare la sua come la storia di una donna che non ha avuto bisogno di quelle che l'hanno preceduta e che hanno aperto la strada anche a lei; essenzialmente si rappresenta come una donna che ce l'ha fatta da sola, per i propri meriti. Non riconoscendo un attivismo delle donne prima di lei, di fatto non pensa il suo come ruolo vocato a produrre emancipazione collettiva da tradurre, quindi, in opportunità nel diritto o nelle infrastrutture sociali per l'autodeterminazione di tutte. Considerando la sua avventura individuale, vuole dire che ‘se vuoi puoi’, che tu, donna singola, ti liberi da sola e che puoi autodeterminarti per tante ragioni che possono andare dal vantaggio che ti dà la nascita fino a speciali talenti personali. Al contrario l'idea è di costruire condizioni di possibilità per l'autodeterminazione di tutte. Lo scarto, in fondo, è proprio tra l'individuale e il collettivo. È qui, secondo me, che si svela la ragione di questo apparente paradosso e che in prima battuta può apparire semplicemente una contraddizione in termini. Sei in grado di conquistare il potere dimostrando la forza delle donne e tuttavia fai tua l'agenda di un partito che parla ancora di famiglia tradizionale e di ruoli di genere che di fatto sono gerarchici, anche se questo discorso reazionario non viene più sbandierato. Lo puoi fare nella misura in cui pensi che, certo, le donne ce la possono fare però ce la devono fare da sole. Per tutte le altre, alla fine, il modello che resta preferibile in cui trovare sicurezza è ancora quello della famiglia, quindi un ruolo ancillare. Con buona pace delle politiche delle pari opportunità, che mostrano la debolezza delle donne mentre il modello di successo è un modello di forza”.

 

Questa analisi dovrebbe sollecitare un ripensamento delle politiche di inclusione per le donne?

“Credo che le norme antidiscriminatorie, per capirci quelle che normalmente sono chiamate ‘quote’ ma che in realtà sono norme di riequilibrio, siano un tassello nell’ambito di un quadro di politiche più complessivo che deve articolare in una stessa visione sia norme per il riequilibrio della rappresentanza sia provvedimenti per la redistribuzione del reddito, per l'avanzamento economico e sociale accanto a iniziative sul versante culturale. La filosofa Nancy Fraser ha parlato di una giustizia di genere che deve essere tridimensionale: rappresentanza, riconoscimento e redistribuzione; tre elementi che, insieme, possono garantire il cambiamento. Non credo, quindi, che sia il caso di buttare a mare le norme di riequilibrio, non solo perché la necessità di far avanzare le donne in un momento di particolare difficoltà richiede misure straordinarie, ma anche perché rimane un argine in questo nostro mondo che tende a ‘tornare uomo’ appena si smette di lottare”.


Osservando le giovani nate nel terzo millennio, ritieni che sentano l’autodeterminazione come un tema importante?

“Penso che alcune idee per le più giovani siano veramente acquisite; per esempio in materia sessuale e riproduttiva, per molte è semplicemente un'ovvietà e non sarebbero disposte ad accettare niente di diverso rispetto a quanto danno per acquisito. In più vedo alcuni temi che stanno particolarmente a cuore alle giovani, come il diritto di poter abitare lo spazio pubblico senza essere minacciate nella propria incolumità, sentono molto il tema delle molestie di strada. ‘Riprendiamoci la notte’ è stata una battaglia storica del femminismo e trovo significativo sentire con quanta enfasi le più giovani si identifichino nel rifiuto di quel tipo di limitazione della loro libertà. È più difficile, invece, portarle a parlare dei problemi che riguardano la coppia con i comportamenti controllanti, soprattutto attraverso i social. Le adolescenti sono più vulnerabili a messaggi culturali particolarmente pericolosi che arrivano dalla rete, iniziative di controllo e abusanti sono scambiate per atteggiamenti di cura. Per le giovani la nuova frontiera di consapevolezza capace di aggregare intorno a interessi collettivi sono le battaglie legate all’identità, del ‘chi siamo’ e del ‘cosa vogliamo’ in termini anche di redistribuzione, di conquista di possibilità materiali e di vite più giuste. Il problema è essenzialmente quello della frammentazione e, per fare un esempio, richiamo il movimento lgbtqia+ : sappiamo che tutte le diverse identità possono rivendicare una specificità che non necessariamente solidarizza con l’altra. Il tema, quindi, è anche la capacità di costruire collettività evitando una deriva che porta all'individualizzazione delle lotte. L'incapacità di articolare lotte più vaste può diventare un problema alimentando una conflittualità a tratti davvero distruttiva che, in sostanza, è venuta generandosi tra pezzi di movimento femminista, pezzi di movimento lgbtqia+ o tra femminismi”.

 

Questa difficoltà, oggi, a mantenere uno sguardo largo richiama alla mente quello che invece avveniva 30 anni fa, a Pechino 95: grande condivisione internazionale. Cosa è rimasto?

“Tutto sommato mi fa impressione che, almeno in Italia, questo trentennale sia passato relativamente in sordina, ed è successo perché non esiste un clima politico accogliente rispetto a questa celebrazione. Quella di Pechino è stata una rottura gigantesca dal punto di vista del peso assunto dai temi posti al centro dal monumento femminista nelle agende delle organizzazioni internazionali e, quindi, a cascata nelle agende dei Paesi che sono parte delle Nazioni Unite e che presero parte alla Conferenza. Paesi che negli anni successivi hanno tradotto in politiche le indicazioni di empowerment e gender mainstreaming. Un trentennale passato un po' in sordina anche perché molto di quanto previsto in quell'agenda è stato tradotto in termini di azione politica, purtroppo i risultati non sono all'altezza di quello che ci si aspettava. È vero che all’epoca si respirava un’aria di progresso che sembrava inarrestabile e i diritti sembravano destinati ad essere ampliati; in molti casi la vita delle donne è davvero migliorata, però non c'è dubbio che la sensazione, oggi, sia di una rivoluzione interrotta. D’altro canto questo anniversario cade in un anno in cui Donald Trump, da presidente degli Stati Uniti, delegittima le Nazioni Unite e Pechino 95 è stata, appunto, una Conferenza ONU”.

 

Guardando al futuro, quanto sei preoccupata per l'autodeterminazione delle donne, per le libertà?

“Naturalmente esistono luci nel buio. Penso a Zohran Mamdani che vince a New York con una squadra di donne mostrando la possibilità anche di convincere l'elettorato dell'importanza di rivendicare diritti sociali, come ci sono alcune vittorie sparse nel mondo di forze politiche di sinistra, qualche volta anche radicali, talvolta anche guidate da donne. Tra le luci ci sono sicuramente anche i movimenti femministi che non si danno per vinti e lottano, riuscendo anche ad avere un peso sulla scena nazionale e internazionale. Tuttavia la sensazione è che la saldatura tra grandi poteri economici e questa politica con tendenze neoautoritarie rischia di produrre poteri di peso in un misura tale che difficilmente le forze democratiche oggi in campo saranno in grado di contrastare, arginandone l’aggressività e rovesciando il discorso nel segno progressista”.

Questo articolo è parte del progetto ‘Pratiche di cittadinanza in dialogo con il futuro’ dell’Associazione NOIDONNE TrePuntoZero sostenuto con i fondi dell'8xMille della Chiesa Valdese. Tutti i materiali del progetto sono raccolti qui

 


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