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Ma quante belle figlie Madama Dorè...

Ma quante belle figlie Madama Dorè...

...le donne che ricoprono incarichi istituzionali dovrebbero andare avanti senza adottare e sfruttare vecchi stereotipi. Ma anzi, dovrebbero combatterli per conto di tutte le altre donne.,,

Giovedi, 25/09/2014 - Io, oggi come oggi, proprio non mi identifico con la maggior parte delle “donne della politica”: spesso, mi lasciano pure stupita con certi atteggiamenti, opinioni, modi di agire.



Mi chiedo: cosa fanno davvero per noi donne “normali”, quali sono le battaglie di “donne per le donne” che portano avanti, come si contrappongono al modus operandi della politica al maschile, come smontano-distruggono stereotipi di genere?



Non vedo molta lotta in questo senso.



Non vedo risultati concreti ed evidenti.



Basti pensare che non abbiamo neppure una MINISTRA PARI OPPORTUNITA’.



Però abbiamo delle gran belle ministre. Sembrano Miss. Lo sottolinea pure la trasmissione Porta a Porta del 18 settembre, già sapientemente commentata nell’articolo di Monica Lanfranco: “Porta a Porta: Vespa le donne e la bella presenza in politica”



http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/09/19/porta-a-porta-vespa-le-donne-e-la-bella-presenza-in-politica/1126646/



Durante la puntata suddetta, ecco alcune donne V.I.P. della politica. Una puntata che magari poteva essere intitolata “ma quante belle figlie Madama Dorè”.



A parte le giornaliste più toste che tentavano un certo smantellamento di stereotipo galoppante, tutto il resto era riassumibile con il messaggio “la bellezza aiuta”. Punto. Aiuta a che? In tutto. E’ un passe-par-tout.



Aiuta perché del resto se una è bella, che ci vuoi fare? Se ha gambe lunghe, bel faccino, bei capelli, mica si può nascondere. Ed è quella la questione.



Sia chiaro. Nessun* condanna-critica la bellezza. Nessun* condanna le belle donne. Neppure le belle donne in politica. Neppure le belle donne mentre fanno la spesa. Se una è bella, beata lei (che poi io sostengo il vecchio principio della soggettività della bellezza).



Ma è ben diverso farne “un’arma”: un mezzo per affermarsi, per arrivare, per piacere, per ottenere-consolidare il consenso.



Perché è un modus operandi che ripete fino alla noia mortale quello che è stato stabilito dal mondo maschile: la donna DEVE essere bella per il piacere dell’occhio maschio (e non solo dell’occhio), per cui la bellezza è un fattore aggiunto fondamentale per essere ACCETTATA-APPROVATA dal contesto regolato dagli uomini. Che sia il mondo del lavoro, che sia il mondo della politica. Sempre e comunque.



Una volta, anni fa, si criticava il modello “Velina” con le due ragazze sgambettanti e belle che ogni sera sorridevano dallo schermo. Oggi non ci facciamo più caso. Non sono loro ad essere pericolose. Non sono loro a costituire il modello che mina il nostro essere “donne vere”.



Oggi ci sono modelli ben più pericolosi: sono quelli del mondo della politica.



Ci sono donne della politica che si lasciano dire “bella figa” da un giornalista, mentre camminano verso luoghi istituzionali. E sorridono. E non mandano a quel paese e non protestano. O protestano sottovoce.



Ci sono donne della politica che si lasciano definire in un giornale “la più bella dell’estate”. E per loro va bene così.



Ci sono donne della politica che intendono affermare il valore della bellezza come mezzo per acquisire consenso pubblico e quindi creano pagine Facebook apposta per pubblicare tutti i loro selfie in pose sornione.



Ovviamente, se le critichi, sei brutta e gelosa. Ma guarda un po’, io non sono né brutta né gelosa. E da donna intelligente, le critico.



Perché non mi piacciono.



Perché io non mi identifico nei loro sorrisi “acchiappa-consenso”.



Perché io credo che il consenso vada acchiappato solo con il cervello e il merito.



Perché le donne che ricoprono incarichi istituzionali dovrebbero andare avanti senza adottare e sfruttare vecchi stereotipi. Ma anzi, dovrebbero combatterli per conto di tutte le altre donne.



A proposito: quando lo fondiamo un PARTITO DELLE DONNE? Io sono qui che aspetto.

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