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Malalai Kakar

Malalai Kakar

La Donna del mese - Assassinata dai Talebani la mattina del 29 settembre 2008, era la prima donna in Afganistan a essersi diplomata all’Accademia di Polizia e la prima donna inquirente e dirigente del dipartimento dei crimini contro le donne di Kandahar

Providenti Giovanna Mercoledi, 25/03/2009 - Articolo pubblicato nel mensile NoiDonne di Novembre 2008

Malalai Kakar, assassinata dai Talebani la mattina del 29 settembre 2008 mentre usciva di casa insieme a uno dei suoi figli (rimasto gravemente ferito), non era solo una delle poche donne poliziotto in Afganistan. Era la prima donna in Afganistan ad aver frequentato ed essersi diplomata all’Accademia di Polizia, la prima donna ad assumere il ruolo d’inquirente e dirigente del dipartimento dei crimini contro le donne di Kandahar, la poliziotta più celebre della nazione, e, soprattutto, era un simbolo di giustizia per le donne.
Kandahar, un tempo considerata uno dei centri commerciali più importanti del paese, in quanto passaggio obbligato delle merci pakistane verso l’Iran e l’Iraq, ha visto un conflitto bellico particolarmente aspro ai tempi dell’invasione della Russia Sovietica ed è oggi una delle più conosciute roccaforti del fondamentalismo islamico dei Talebani, che, interpretando la sharia a proprio uso e consumo, miete il terrore tra la popolazione e vieta alle donne di lavorare, studiare e persino di uscire di casa se non accompagnate da un uomo.
Malalai Kakar, che all’epoca dell’invasione sovietica, nel 1979, era una adolescente, entrò in polizia nel 1982. Ma dopo meno di quindici anni fu costretta ad esiliare: quando i Talebani si imposero al potere in Afganistan, dal 1996 al 2001 lei, insieme ad altri tre milioni di afghani, venne accolta profuga in Pakistan. Lì rimase per dieci anni, durante i quali incontra suo marito, un impiegato delle Nazioni Unite e un “uomo moderno”, come lo definiva lei. Insieme a lui forma una famiglia con sei figli, che, alla caduta del governo talebano, ritorna a Kandahar, dove Malalai riprende il lavoro di poliziotta, per scelta, anzi, per amore, come lei stessa dichiara in un video su di lei visionabile sul sito di youtube.
Il video la riprende dapprima durante il tempo in cui si prepara per andare al lavoro e poi durante il suo esercizio quotidiano presso la postazione di polizia dove lavora, mentre indossa la sua uniforme e carica con le pallottole prima una pistola e poi il kalashnikov. Malalai racconta la sua storia a chi la sta riprendendo: “Mio padre insegna all’accademia di polizia. Mi sono arruolata nelle forze di polizia perché mio padre mi ha trasmesso l’amore per il suo lavoro. Io mi sento coraggiosa, onesta e forte e, al lavoro, mi sento come un uomo”.
Poi Malalai, coprendosi interamente con il burqa si dirige verso la stazione di polizia dove lavora e dove viene ripresa mentre svolge le sua attività quotidiane: in divisa, con il burqa alzato e pesante sopra la testa e noncurante della telecamera. Prima fa fare pace a due vicini, facendo chiedere scusa al responsabile dell’offesa e facendogli promettere di non ripetere più il torto. Poi accoglie due donne in burqa. Invitandone una a sedere accanto a lei, le alza il burqa e, infilandovisi dentro per guardarla bene in volto, le chiede: “cos’è successo? che ti ha fatto davvero tuo marito, eh?”
Oltre a questo video, su internet si trovano numerosi articoli della stampa internazionale che parlano delle operazioni di sequestro di armi e di droga nella zona di Kandahar cui lei aveva preso parte, e la descrivono come una persona eccezionale il cui nome, oltretutto, rinvia a una eroina afghana della guerra contro i britannici, alla fine del 19° secolo. In una intervista fattele da "Marieclaire" (www.marieclaire.com/world/news/kandahar-cop-4) Malalai racconta dei molti messaggi con le minacce di morte che ogni mattina strappa dalla porta di casa prima che i figli possano vederle, del suo lavoro in polizia e dei molti episodi di quotidiana sopravvivenza e sopraffazione in un mondo così difficile come è l’Afganistan di oggi. Inoltre si sofferma sulla necessità della presenza femminile in polizia e in tutti i servizi pubblici per permettere alle donne, cui è vietato interagire con uomini estranei, di potere ricevere assistenza da dottori, assistenti sociali, avvocati, etc. Il bisogno di tali figure femminili è particolarmente sentito in un paese in cui il tasso di assassinii domestici e violenza contro le donne è altissimo, in cui il 60% delle ragazze sono costrette a sposarsi all’età di sedici anni, e in cui non sono poche le donne che, in segno di protesta, si uccidono dandosi fuoco. Non sono neanche poche le donne che formano reti di auto-aiuto tra loro e/o che trovano il coraggio di denunciare le sopraffazioni subite. E per trovare questo coraggio è spesso determinante la presenza di un’altra donna che bussi alla loro porta.
"Le cose che faccio io gli uomini non le farebbero mai. – diceva Malalai alla giornalista di Marieclaire – Mi ricordo di quel caso in cui continuavo a bussare alla porta ma i bambini non mi volevano aprire. Coperta dal mio burqa dissi loro che ero una zia, e così mi aprirono”. Quando entrò nella casa trovò una donna e suo figlio incatenati piedi e mani, sopravvissuti per dieci mesi a solo pane e acqua. Si trattava di una vedova risposata al cognato il quale dopo averne abusato l’aveva ripudiata e lasciata in queste condizioni.
"I Talebani possono minacciarmi" diceva ancora Malalai Kakar "Ma le donne e i bambini mi amano, perché sanno che ho salvato, e posso continuare a salvare, molte di loro."

(11 novembre 2008)

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