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Moni Ovadia: La pace? Impossibile, senza giustizia

Moni Ovadia: La pace? Impossibile, senza giustizia

In tour con la Moni Ovadia Stage Orchestra, Senza Confini Ebrei e Zingari ha fatto tappa ad Ariano Irpino nell'ambito del FolkFestival

Lunedi, 21/08/2017 - In tour con la Moni Ovadia Stage Orchestra, Senza Confini Ebrei e Zingari ha fatto tappa ad Ariano Irpino nell'ambito del FolkFestival. Abbiamo intervistato Moni Ovadia.

Perché il sottotitolo, Senza confini Ebrei e Zingari?

"La gente deve imparare ad ascoltare e a non giudicare senza conoscere, io so cosa hanno passato i rom, su cui sono ancora molti i pregiudizi da sfatare. Con questo spettacolo intendo raccontare la storia di due popoli fratelli, quello ebraico e quello zingaro (sinti e rom) che hanno marciato a lungo fianco a fianco, costretti al nomadismo dalle persecuzioni. Due popoli fratelli, accomunati da una storia spesso tragica, le cui strade però, si sono divise dopo le persecuzioni naziste. Gli Ebrei hanno cambiato la loro storia, conquistato una terra e avuto pieno riconoscimento della loro condizione di perseguitati e un immenso edificio di testimonianza, costruito sulla Shoah. Il popolo rom invece, continua a subire pregiudizi ed emarginazione e non vede ancora riconosciuto il tentativo nazista di realizzare il suo sterminio". Lo spettacolo (n.d.A: elettrizzante e coinvolgente) si snoda lungo un percorso storico-poetico, condito da qualche esilarante storiella, al ritmo di vivaci melodie della musica zingara klezmer. Divertimento e riflessione, musica e teatro civile, insieme per stimolare la riflessione e contribuire alla battaglia contro ogni razzismo".

Lei si occupa molto di dialogo e integrazione tra culture: come risolverebbe l’annosa questione israelo - palestinese?

"C’è un Paese armato fino ai denti con testate nucleari, che occupa e condiziona le vita di un altro popolo che non ha i suoi confini, vessato dalle micro alle macro vessazioni, da mattina a sera. I governi israeliani oramai hanno una componente fascistoide drammatica. Non c’è altro che una conferenza di pace, che si può far durare anche 5 anni, tenendo conto però, di una questione preliminare, ovvero che la madre di tutti i mali, trae origine dall’occupazione e colonizzazione delle terre palestinesi. Israele ha dei confini stabiliti dalla giustizia internazionale nella risoluzione 181 dell’Onu: entro quei confini ha piena legittimità, al di fuori non è più legittimo, è uno Stato dell’apartheid, è uno Stato violento perché usurpa ciò che appartiene a qualcun altro. Israele non deve ritirarsi subito, deve solo dichiarare che lo farà. Si deve arrivare a una conferenza di pace sulla base di quel presupposto, mentre oggi i governi israeliani pretendono di andarci senza condizioni, perché vogliono inglobare parte delle terre. Così non si fa la pace, perché la pace può esistere solo in presenza della giustizia, se non c’è giustizia, non c’è vera pace, c’è solo un diktat, foriero di altre conflittualità e violenze, lo abbiamo visto con la conferenza di Versailles: non si impone la pace con la violenza e con la forza. Si deve rispettare anche chi è meno forte, - in questo caso la sproporzione è abissale -, riconoscergli la stessa dignità, senza queste premesse vuol dire che non si vuol fare la pace, ma si vuol imporre il proprio punto di vista". Quale Paese in questo momento potrebbe operare per la pace?

"Solo gli Stati Uniti d’America hanno la facoltà di farlo, coinvolgendo anche la Russia, la Comunità europea, l’Onu, ma se gli States non prendono la decisione… Guardi Obama. Se io incontrassi Obama, gli direi: Signor presidente, ho un’immensa simpatia per lei, ma lei è un pubblico mentitore, lei aveva promesso la pace fra Israele e Palestina e su questo ha preso anche il Premio Nobel. Lei non solo non ha fatto la pace, che era molto difficile - glielo riconosco - , ma non è riuscito neanche a fermare la costruzione di un cesso illegale nei territori palestinesi: lei si deve vergognare pubblicamente!"                                                        

Quale potrebbe essere il modo per tenere a bada l’enorme problema del terrorismo?

"Chi uccide persone innocenti è un criminale, non è un vero musulmano, deturpa e sfregia la grandezza del pensiero del Corano e anche degli Hadits di Maometto (Mohamed). Il versetto 99 della decima Sura recita così: Se Allah avesse voluto fare di tutti gli uomini dei credenti, ci avrebbe pensato lui, sottointeso, non ha voluto!"

E chi sei tu per costringere un uomo a credere contro la sua volontà?

"Uno degli Hadits del profeta Mohamed dice: nessuna costrizione nella fede, per non parlare della mistica Sufi, che è la più grande mistica di fede. Ciò premesso, il terrorismo è figlio del modello di sviluppo dell’Occidente, delle sue cosiddette guerre umanitarie, della sua mentalità coloniale - imperialista travestita da affari e da finanza. C’è un sacerdote africano della cooperazione internazionale per l’Africa che a proposito degli stanziamenti di svariati miliardi all’Africa, a cui le multinazionali portano via 200 miliardi, ha detto: tenetevi i vostri, lasciateci i nostri… "

E che dire dell’industria delle armi?

"Finché prosegue questo modello di sviluppo, non c’è possibilità di pace e il terrorismo continuerà a trovare lì il suo bacino di cultura. Quando si pensa che noi piangiamo giustamente le nostre vittime innocenti, non le piangiamo però quanto dovremmo: guardiamo a Nizza. Il giorno dopo andavano al mare con la musichetta, su quell’esplanade, come oggi sulla Rambla, bisognava dire: lasciamo queste strade vuote per una settimana, interiorizziamo il lutto… invece piangiamo i nostri morti in televisione. Chi ha pianto le centinaia di migliaia di innocenti iracheni, morti nella cosiddetta guerra umanitaria o quelli afghani, e quelli libici? È necessario modificare questo modello, le due parole d’ordine devono essere: redistribuzione e dignità, devi riconoscere all’altro da te, la stessa dignità che vuoi tu, perché la dignità appartiene all’essere umano dalla sua nascita, non è attributo concesso da donazioni o da accordi, la priorità è l’essere umano".

Oggi invece la priorità sono i soldi e nella fattispecie, i soldi che si fanno dai soldi, cioè la finanza: dove mai possiamo andare in questo modo? La musica può essere il trait d’union tra popoli e culture?

"La musica, come ormai dimostrato anche dal nostro grande genetista Cavalli Sforza, attesta che noi siamo un solo uomo, ovvero Homo sapiens sapiens africanus, qualcuno della zona dell’Anatolia ha forse uno 0,2 per cento di Neanderthal, ma quelli ormai sono estinti. La stragrande maggioranza dunque siamo Sapiens sapiens africanus, siamo un uomo solo, il nostro simile dev’essere la priorità: finché non lo diventa, è un chiacchierare a vuoto per riempire i talk show televisivi".



Tra i prossimi impegni, Moni Ovadia, da gennaio ad aprile del 2018 sarà narratore e interprete di sei personaggi diversi, ne: Il casellante, tratto da Camilleri, in cui si confronterà con la lingua siciliana, in un testo riadattato per lui dal talentuoso scrittore siciliano, con Giuseppe Dipasquale. Ambientato in una Sicilia anni '40 arcaica e moderna, comica e tragica, racconta con uno sguardo toccante e di commozione verso le donne, anche il femminicidio, la vita che torna, la violenza che prova a rubarla. Debutterà inoltre a Palermo, con una messa in scena in forma di operetta musicale di Liolà, di Pirandello, insieme a Mario Incudine, un giovane collega prodigio, con cui si dice entusiasta di aver costruito un ottimo sodalizio.

La Moni Ovadia Stage Orchestra è composta, oltre cha da Moni Ovadia, narratore e cantante, da: Paolo Rocca (clarinetto), Ennio D’Alessandro (clarinetto), Albert Florian Mihai (fisarmonica), Marian Serban (cymbalon), Petre Nicolae (contrabbasso). (alcuni sono ritratti nella foto a sinistra)



Floriana Mastandrea





Breve biografia di Moni Ovadia

Studioso, attore, drammaturgo, scrittore, autore, compositore e cantante, Salomone Ovadia, detto Moni, nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1946, da una famiglia ebraico-sefardita. Dopo gli studi universitari e una laurea in scienze politiche, avvia la sua carriera d'artista come ricercatore, cantante e interprete di musica etnica e popolare di vari Paesi. Dal 1984 si avvicina al teatro, prima in collaborazione con artisti della scena internazionale, come Bolek Polivka, Tadeusz Kantor, Franco Parenti, e man mano, proponendosi come ideatore, regista, attore e capocomico di un "teatro musicale" in cui le precedenti esperienze, si innestano alla sua vena di straordinario intrattenitore, oratore e umorista. Filo conduttore dei suoi spettacoli e della sua vastissima produzione discografica e libraria, è la tradizione composita e sfaccettata, il “vagabondaggio culturale e reale”, tipico del popolo ebraico, di cui egli si sente figlio e rappresentante, quell'immersione continua in lingue e suoni diversi, ereditati da una cultura che le dittature e le ideologie totalitarie del Novecento, avrebbero voluto cancellare, e di cui si fa memoria per il futuro.






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