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Parole e pensieri in libertà su 194, bambini non nati e cimiteri

Parole e pensieri in libertà su 194, bambini non nati e cimiteri

La pessima applicazione della legge 194 per i tanti medici obiettori e il dibattito dopo la delibera del Comune di Firenze per l'istituzione del cimitero per i bambini non nati

Domenica, 10/11/2013 - Come era da immaginare l’approvazione della delibera comunale, avente ad oggetto l’istituzione del cimitero dei bambini non nati all’interno del camposanto di Firenze, ha innescato l’ennesimo confronto sulla natura giuridica degli embrioni e dei feti e conseguentemente un dibattito nuovo sulla 194. Nuovo, perché , mentre per un verso si dice da più parti che la legge legalizzante l’interruzione volontaria di gravidanza “non si discute”, anzi se ne sottolinea l’intangibilità, dall’altro ci si scaglia contro chi ne rimarca la rinnovata valenza, soprattutto in un momento in cui l’autodeterminazione delle donne al riguardo viene ancora una volta messa in discussione. Succede, così, che siano messe sulla griglia mediatica giornaliste del calibro di Marina Terragni, scrittrici quali Lidia Ravera, convinte assertrici della 194 che, nata per eliminare la triste piaga delle morti per aborti clandestini, è venuta nel prosieguo ad assumere la valenza del riconoscimento in capo alla donna del diritto a non vedersi imposta normativamente una gravidanza. La critica che viene a loro rivolta, nonché a quante, come il Comitato Se non ora quando di Firenze, sostengono la pericolosità di una delibera che, con l’istituzione di un ‘area ben determinata all’interno del cimitero di Firenze specificamente destinata all’inumazione dei bambini non nati, si configuri quale “un chiaro attacco alla 194”, è che non può essere vietato il seppellimento dei figli ai genitori che ne facciano richiesta. Si fa leva sulla legittimità dei sentimenti di dolore e di sofferenza in capo a madri e padri che vogliono avere un luogo dove raccogliersi nel ricordo dei propri bambini non nati, ma, così facendo, si sposta l’argomento del confronto su di un terreno estremamente scivoloso, destinato a farci piombare in un pantano di vere e proprie sabbie mobili. I sentimenti contro i valori, la pietà contro la libertà, sono contrapposizioni idonee a non consentire un dibattito scevro da condizionamenti fuorvianti.

Focalizzando, invece, l’attenzione sulle disposizioni normative relative all’inumazione, con particolare riguardo ai feti, il dpr n.285/1990 prevede che quelli tra le 20 e le 28 settimane, come pure gli omologhi di età gestionale inferiore a 20 settimane, possano essere sepolti per volontà dei genitori “con permessi rilasciati dalle unità sanitarie locali”. Quando, allora, si attacca Lidia Ravera colpevole, a detta dei detrattori, di aver utilizzato il termine”grumi di materia”, perché lo si fa, se è chiaro a tutti che si riferisce ai prodotti del concepimento inferiori a tali periodi, ossia agli embrioni di gravidanze che le donne scelgono di interrompere nel pieno rispetto della 194, cioè nel termine di tre mesi, ossia 12 settimane? Quando se ne chiedono le dimissioni da assessore regionale alla cultura del Lazio, perché la si considera rea di aver definito le donne “animali di servizio della specie”, si compie una palese strumentalizzazione delle sue parole, perché la scrittrice confuta l’approccio culturale per il quale, essendo le donne fonte di vita, non possono decidere da sé in piena libertà e coscienza di non portare avanti una gravidanza. In questo aria , già per suo conto difficile da respirare, si assiste sconcertate finanche a titoli di articoli mutanti, perché anche le parole in queste circostanze diventano più pericolose delle pietre, come nel caso di un’intervista rilasciata da A. Kustermann, primario ginecologo a Milano, nonché medico non obiettore. La sua frase “trovo il dibattito molto vetero” diventa nell’intestazione del pezzo giornalistico “care femministe siete vetere”, cosicchè subitamente smentisce ed il titolo successivamente diventa “i cimiteri per i bambini non nati aiutano a superare il lutto”.

Donne che dividono le donne, che a loro volta sono divise sull’argomento 194, questa parrebbe la sintesi del confronto, se non fosse che ognuna all’inizio premette “fermo restando la libertà delle donne e il rispetto della 194”. Ma, se è così, perchè tutto il furore ideologico di questi giorni non lo si devia verso un fine altro e più alto, ossia rendere a questa legge un senso reale e concreto non più riscontrabile in regioni ove la percentuale dei medici obiettori nelle struttrure ospedaliere pubbliche si avvicina al 90%? Mi aspetterei più onestà intellettuale in coloro i quali utilizzano il dibattito sui cimiteri dei bambini non nati per dire che in fondo è bimbo anche quello oggetto di un’interruzione volontaria di gravidanza effettuata nel pieno rispetto della legge. E a chi non veda quanto le delibere comunali istitutive di aree specifiche per l’inumazione dei prodotti del concepimento di età gestionale inferirore alla 20° settimana vadano in questa direzione, dovrebbe ribattersi di rimando che le norme del 1990 già prevedono tale possibilità. C’è solo un particolare non di poco conto da evidenziare: queste delibere sono atti amministrativi, statuenti il riconoscimento in capo all’embrione di un diritto pari a quello valevole per un defunto ad essere inumato o cremato in base alle norme previste dai regolamenti cimiteriali di ogni singolo comune. La legge 194, tra il diritto di chi persona non è e quello della donna di non morire di aborto clandestino, ha scelto la tutela di quest’ultima. Sembra quasi che oggi quel diritto le venga svuotato di senso non solo logico, ma anche per così dire emotivo, visto che le aspettative sulla interruzione volontaria di gravidanza, disattese da un sistema sanitario pubblico incapace di arginare il fenomeno dell’obiezione di coscienza, si accompagnano ad un dibattito che, pare, sia finalizzato a colpevolizzare quante decidano di non volere seppellire i resti di un’interruzione volontaria di gravidanza. E succede così che provo ad immaginare gli stati d’animo di una donna che in passato ad essa è ricorsa, mentre oltrepassa l’area cimiteriale destinata appositamente all’inumazione dei “bambini non nati”, denominata, che so, il Giardino degli angeli. Ci vuole poco a rappresentarmi i suoi sensi di colpa per non avere disposto che ciò che restava di un figlio indesiderato non sia stato seppellito, ma bruciato in un inceneritore come un rifiuto ospedaliero. Mi sembra quasi di avvertire i suoi contrastanti sentimenti, nell’immediato di dolore per come è finita quella gravidanza non voluta e nel prosieguo di libertà per non essersela sentita imposta per legge. Succede, poi, che razionalmente qualifico la colpa di quei ricordi sofferenti come non sua , ma di quanti per meri calcoli politici o ideologici hanno deciso che debbano essere destinate delle apposite aree cimiteriali ai bambini non nati a causa di un’interruzione volontaria di gravidanza. E, se la normativa nazionale prevede che “a richiesta degli interessati possano effettuarsi nei cimiteri le inumazioni sia dei prodotti del concepimento di presunta età inferiore alle 20 settimane che dei feti abortiti spontaneamente o per esigenze terapeutiche tra le 20 e 28 settimane”, il mio sdegno sale prorompente per come siano per l’ennesima volta usati i sentimenti, i corpi e la dignità di quella donna, e non solo.

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