Incipit del romanzo e note biografiche dell'autore, classificato primo nell'edizione 2025
Martedi, 09/12/2025 -
Kukavica è un romanzo testimonianza che intreccia memoria personale e storia collettiva. Racconta l’esperienza reale di un gruppo di volontari italiani che, dopo l’Operazione Tempesta del 1995, si stabiliscono per anni nel villaggio serbo di Plavno, tra le montagne della Krajina, per assistere gli anziani rimasti soli dopo l’esodo.
Attraverso ricordi, incontri e ferite ancora aperte, il libro esplora la complessità della guerra nei Balcani, il peso della perdita, ma anche la forza delle relazioni umane, della cura e del coraggio quotidiano.
Kukavica, parola serba che significa sia “codardo” sia “cuculo”, diventa il simbolo ambiguo della memoria che ritorna, del dolore che resiste e dell’inaspettata capacità di rinascere.
INCIPIT
Devo ricordare.
Sto invecchiando. Il tempo mi sfiora la pelle con dita leggere e scivola via veloce, e con lui la memoria si sfalda.
Non voglio che accada.
Ho passato la vita a tenere a distanza la nostalgia, non solo quella che fa male, ma anche quella che accarezza e poi si ritrae, lasciando un vuoto silenzioso.
Da bambino scacciavo i fantasmi cantando sottovoce, rannicchiato sotto le coperte, sperando che il buio non mi sentisse. Crescendo, ho affinato la tecnica: quando la mente minacciava di soccombere ai ricordi, li lasciavo lì, ai margini, come oggetti dimenticati in una stanza chiusa a chiave.
Non li ho mai distrutti. Solo messi da parte, in attesa.
La paura, con il tempo, si è rassegnata.
Ora si nasconde nei sogni, dove mi sorprende con un’angoscia che sembra reale.
Sogno il vuoto, il precipizio, le vertigini mi divorano. Eppure, quando sono sveglio, il vuoto mi dà pace.
Lo cerco, lo sfido. Scalo montagne per guardarlo in faccia, e nel silenzio dell’altezza ritrovo una calma che nessun luogo abitato sa darmi.
La morte, invece, non la sfido. La tengo a distanza, la opacizzo.
Mio padre non c’è più, ma il dolore della sua assenza è come polvere sospesa, mai caduta.
Non guardo le sue foto, non ascolto le melodie che potrebbero richiamarlo.
Lo so, un giorno il dolore mi raggiungerà.
E poi c’è Plavno.
Trent’anni sono passati, e il tempo, anziché cancellare, ha scavato. Adesso la scatola si è aperta, e i ricordi tornano, avanzano senza chiedere permesso.
Qualcuno ha scritto che non si può mettere da parte senza rischiare di perdere. Che il ricordo va vissuto, la sofferenza attraversata, la nostalgia onorata.
Plavno. Luogo di follia e di pianto, dove gli uomini hanno mostrato il peggio di sé.
La distruzione era ovunque, il dolore si attaccava alle pietre, impregnava l’aria.
Le strade parlavano di fuga, di case svuotate, di vite spezzate. Eppure, lì, tra le macerie e l’assurdità della guerra, sono nate amicizie, resistenze silenziose, gesti di speranza.
Non so se Plavno appartiene ai ricordi tristi o a quelli preziosi. Forse ad entrambi.
Scrivere questo libro è il mio modo di affrontare la nostalgia, di darle un nome, una forma. Plavno non è solo un luogo, è un battito dentro di me.
Ogni pagina è un ritorno, ogni parola un ponte tra quello che ero e quello che sono diventato.
Note Biografiche
Mauro Barisone (nato a Loano, SV, il 29 gennaio 1963) scrittore, alpinista, viaggiatore e appassionato di fotografia e animali. Ho trascorso oltre vent’anni nella cooperazione internazionale, lavorando direttamente in zone di conflitto: 17 anni nei Balcani (Croazia, Bosnia, Serbia e Kosovo), un anno in Nepal, uno a Cuba. Oggi alterno la professione di consulente di viaggi a quella di esperto per agenzie governative e Non governative che operano in contesti di crisi e in particolare in Ucraina.
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