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Quei femminicidi dimenticati di donne lasciate sole contro il pericolo

Quei femminicidi dimenticati di donne lasciate sole contro il pericolo

Un’analisi criminologica, sociale e culturale sul fenomeno poco studiato, dibattuto e prevenuto del femminicidio delle prostitute in Italia

Giovedi, 24/11/2022 - In occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, vorrei porre l’attenzione su un fenomeno poco esplorato, quale il femminicidio delle prostitute in Italia.
Lo scopo è quello di far luce sugli omicidi perpetrati contro la categoria delle sex worker, poiché tale fattispecie viene di rado narrata ed esaminata dai mezzi di informazione (Casa delle donne per non subire violenza, 2017).
Devo questa scelta al recente fatto di cronaca del serial killer - dal punto di vista criminologico, sarebbe più corretto definirlo spree killer - che a Roma, nel quartiere Prati, ha ucciso pochi giorni fa tre donne (due di nazionalità cinese e una di origini colombiane), tutte e tre escort, in due appartamenti distanti meno di un kilometro tra loro e a poche ore l’una dall’altra.
Per la mia analisi, si è rivelato molto interessante l’articolo scientifico, dal titolo “Feminicides of prostitutes in Italy (1988-2018). Specificities and contradictions of a little explored phenomenon”, pubblicato di recente, nel maggio del 2020, da Paola Degani e Gianfranco Della Valle sulla Rivista internazionale sugli studi di genere, AG, AboutGender, partner dell’Organizzazione SWS (Sociologists for Women in Society).
Lo studio in questione affronta il tema dell'omicidio volontario delle prostitute in Italia negli ultimi tre decenni e prende in considerazione tutti quegli omicidi di genere compiuti contro donne coinvolte nel giro della prostituzione, siano esse lavoratrici del sesso che ragazze costrette a prostituirsi perché vittime di tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale. Attraverso un'analisi qualitativa degli articoli di stampa, il lavoro condotto dagli autori ha dimostrato come la scarsa considerazione di queste morti, da parte dei media, della società civile e nel dibattito politico sulla violenza contro le donne, abbia comportato una sottile differenziazione tra vittime meritevoli di essere ricordate e vittime "colpevoli" e quindi dimenticate.
È indubbio come, in questi anni, l’emersione pubblica e l’aumento della violenza nelle relazioni intime e l’individuazione del partner o comunque di una figura maschile responsabile di gravi abusi o addirittura di omicidio abbiano offuscato la visibilità delle uccisioni di cui sono vittime invece le donne prostituite e/o le sex worker di strada; anzi, si è anche diffuso un atteggiamento paternalistico-autoritario che mette, di proposito, sullo stesso piano le vittime di tratta e le persone autodeterminate nella scelta di prostituirsi, omettendone, invece, la chiara differenza.
Da notare, inoltre, come la mancanza di attenzione e, più in generale, l’assenza di un’adeguata informazione, intorno a questi fatti criminosi, siano responsabili del tentativo di oscurare il concetto stesso di femminicidio (omicidio di una donna per mano di un uomo per il fatto di essere donna), il quale oggi viene quasi esclusivamente utilizzato per i delitti commessi all’interno della dimensione domestica/familiare, ma molto meno per quelli che, al contrario, si consumano tra soggetti non legati, nel presente o nel passato, da vincoli affettivi, come il caso, appunto, delle donne che si prostituiscono.
Nel trentennio 1988-2018, in Italia sono stati commessi 485 omicidi volontari di prostitute. Tante, tantissime donne sono morte in relazione al loro essere prostituta (o prostituita), quindi sono state uccise non solo perché donne, ma anche perché prostitute.
I loro assassini possono essere per lo più divisi tra quelli "intimi o di prossimità" (partner o clienti) e quelli "criminali", collegati cioè alle reti della criminalità organizzata.
Nell’arco temporale preso in esame, in Italia si è assistito anche alla trasformazione del fenomeno della prostituzione da quella autoctona a quella migrante: in effetti, oggi , meno del 3% delle donne che si prostituiscono in strada sono italiane (dati ricavabili dalle attività di osservazione realizzate dagli operatori del sistema nazionale antitratta).
Ma perché le prostitute sono maggiormente a rischio di femminicidio?
Per rispondere a questa domanda, ci vengono in soccorso le ricerche effettuate dalle scienze sociali.
Dal punto di vista criminologico, rispetto alla popolazione generale, il rischio di vittimizzazione è ovviamente più elevato tra gli emarginati, che comprendono prostitute e/o sex worker e senza fissa dimora. Secondo alcuni dati raccolti negli Stati Uniti, le lavoratrici del sesso sono a rischio di omicidio quasi 18 volte di più rispetto a quello delle donne della stessa età che non svolgono lavoro sessuale (Potterat et al., 2004), mentre altre stime indicano che le donne lavoratrici del sesso corrono il rischio di essere uccise da 60 a 120 volte più di altri soggetti non donne dediti alla prostituzione (Salfati, James e Ferguson, 2008; Unodc, 2018).
Come emerge da studi specifici, le prostitute costituiscono bersagli estranei “più facili” per i sex offender, i quali selezionano la vittima in funzione della sua accessibilità e della volontà di scegliere proprio quella categoria. Queste vittime sono spesso considerate persone invisibili, la cui scomparsa, infatti, generalmente non desta particolare preoccupazione nell’opinione pubblica.
Molti autori di questi crimini manifestano, poi, nei confronti di queste donne un senso di odio e di disprezzo che si deduce dalle modalità violente con cui viene compiuto il delitto. In effetti, facendo riferimento alla vittimologia e alle tecniche investigative del criminal profiling e dell’autopsia psicologica della vittima, quando un killer sceglie oculatamente una determinata tipologia di vittima, come quella delle prostitute è perché è convinto di dover assolvere ad una missione: “ripulire il mondo dalle donne di malaffare” (come dichiarò Peter Sutcliffe, il famigerato “Squartatore dello Yorkshire”, un folle omicida seriale inglese che tra il 1975-1981 massacrò 13 donne, la maggior parte prostitute, emulo del leggendario Jack the Ripper).
Dal punto di vista socio-culturale, per essere ancora più esaustivi, dobbiamo ricollegarci, invece, alla divisione sessuale del lavoro e dei ruoli e alla diversa collocazione degli uomini e delle donne nella stratificazione sociale della società odierna. La questione relativa al nesso tra lavoro domestico e di riproduzione della donna, prostituzione e violenza è stato terreno di analisi fin dagli anni ’70 da parte del femminismo marxista, che giunse a questa sconvolgente conclusione: una donna diventa “cattiva”, ovvero prostituta, “quando pretende di far costare, e quindi contrattare in termini di soldi, di tempo e condizioni complessive, quella che è la mansione centrale del lavoro domestico: il fare all’amore”(Dalla Costa, 1978).
Inoltre, si deve aggiungere che in Italia la vittimizzazione femminile è il risultato sia della cultura maschilista e patriarcale che pone la donna in una posizione socialmente svantaggiosa, sia del “backlash effect” che compare quando i livelli di autonomia e indipendenza delle donne aumentano, e il maschio è incapace di contenere e accettare l’emancipazione femminile, condizione spesso alla base delle violenze di genere. Infatti, questi omicidi altro non sono che il mezzo estremo per esercitare quel controllo sulle donne che gli uomini hanno perso nel tempo e il tentativo ultimo di cancellarne l'identità, di minarne profondamente l’indipendenza e la libertà di scelta.
A questo punto, comprendendo quanto peso abbiano le norme sociali e culturali, gli stereotipi e i ruoli di genere nella costruzione sociale di un ambiente propizio per la violenza contro le donne e in special modo la violenza contro le prostitute, sarà più semplice progettare politiche ad hoc, volte alla protezione sociale e alla tutela giuridica delle persone coinvolte, ma anche dirette al superamento dei pregiudizi e delle discriminazioni che causano marginalità ed esclusione sociale.
Necessarie, quindi, sul piano istituzionale misure di intervento inserite nel quadro più ampio delle policy orientate alla tutela dei diritti umani, con l’obiettivo di evitare e, dunque, prevenire l’abbandono e l’isolamento sociale di persone, la cui dignità viene calpestata ogni giorno.


A cura di Nicoletta Calizia
Sociologa, Criminologa, esperta in violenza di genere, diritti dei minori e politiche del lavoro

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