Login Registrati
Rendere visibili gli invisibili: riflessioni e racconti di un’esperienza nelle strade

Rendere visibili gli invisibili: riflessioni e racconti di un’esperienza nelle strade

Raccogliamo in un articolo/ intervista i racconti e le riflessioni di Laura Bizziccari, un’amica di NOIDONNE che di notte opera nelle strade di Roma in un progetto di assistenza e monitoraggio verso persone in difficoltà e senza fissa dimora

Giovedi, 02/10/2025 -

L’articolo/intervista che pubblichiamo è nato da una proposta di Laura Bizziccari, un’amica che nel passato ha partecipato ad alcuni progetti promossi da NOIDONNE TrePuntoZero di formazione professionale e culturale realizzati lavorando sull’Archivio storico della nostra testata. Un'esperienza che, come lei stessa ha dichiarato più volte, non solo le ha aperto orizzonti di conoscenza e consapevolezza sul piano dei diritti conquistati dalle donne ma le ha dato strumenti e competenze nel campo della scrittura e della comunicazione. In un lungo percorso, segnato spesso da passaggi difficili di vita, ma anche da una forte voglia di trovare o ritrovare una propria via autonoma e dignitosa, Laura sta facendo da mesi un'esperienza di lavoro di assistenza, specie nelle ore notturne, nella strade di Roma per persone senza tetto e in difficoltà. Un progetto promosso dal Comune di Roma  per accrescere la capacità di interventi emergenziali di tipo sociale e sanitario.

Intanto ci puoi dire meglio di che si tratta?
Questo progetto è nato su iniziativa del Comune di Roma, che ha coinvolto diverse cooperative sociali, tra cui quella in cui lavoro, per svolgere un compito cruciale: iscrivere le persone senza dimora su una piattaforma che da vent'anni funziona come una sorta di anagrafe sociale e segnalare tempestivamente criticità o emergenze ai servizi competenti. Il nostro ruolo non si limita alla registrazione: siamo chiamati a monitorare le condizioni di chi vive in strada, avvertire i servizi sociali in caso di bisogno, contattare il 118 quando la salute è in pericolo e, in concreto, salvare vite. Vi do degli esempi concreti: un uomo di 80 anni dormiva a Villa Borghese con i piedi gonfi a rischio di embolia. Nonostante la sua resistenza, abbiamo chiamato immediatamente l’ambulanza: due ore dopo un delicato intervento chirurgico gli ha salvato la vita. Siamo poi andati a trovarlo in ospedale e ci siamo attivati per trovargli una struttura dove affrontare la convalescenza post-operatoria. Un altro uomo romano, per vicende personali, era finito su una panchina a Piazza Risorgimento. Aveva problemi cardiaci e febbre altissima, senza rendersi conto della gravità della sua condizione. Anche in questo caso, il nostro intervento e la chiamata al 118 sono stati decisivi. Dopo il ricovero è tornato in strada, ma lo abbiamo segnalato alla Sala operativa per cercare un posto letto.

Oltre agli interventi di emergenza, come intervenite per favorire una continuità di monitoraggio e assistenza?
Seguiamo le persone che sono state ricoverate negli ospedali o cerchiamo di individuare strutture per i decorsi post ospedalieri, segnaliamo ai servizi sociali casi perché individuino posti letto e ricoveri, distribuiamo beni di prima necessità come medicinali, coperte, alimenti. In queste attività ascoltiamo anche chi vuole raccontarsi, monitoriamo chi rischia di peggiorare in mancanza di cure, proviamo a costruire piccole reti di sostegno.

Quali difficoltà maggiori incontrate in questa attività?
Oltre alle emergenze mediche, ci troviamo quotidianamente a fronteggiare mancanza di posti nelle strutture, persone che finiscono i medicinali senza alcun supporto organizzato, richieste di tende o coperte di cui non riusciamo sempre a farci carico. Le coperte di lana che distribuiamo sono utili ma ingombranti e spesso, al rientro la sera, chi vive in strada non le trova più. Le coperte termiche sarebbero ideali: occupano poco spazio, si piegano e si tengono in tasca, garantendo più sicurezza e più autonomia. Quando possiamo, portiamo anche cibo, snack o bevande calde, ma le risorse sono minime. Per fortuna esistono cittadini e volontari che, una volta a settimana, distribuiscono generi alimentari, un gesto di vicinanza che da solo non basta. È frustrante sentirsi impotenti di fronte alle necessità immense e alle risorse scarse, ma nonostante questo non ci arrendiamo. Perché anche riuscire a far sorridere una persona, magari insieme al suo cane, significa aver fatto la differenza.

A quali riflessioni più profonde ti porta questa esperienza?
Sto vivendo una realtà diversa della città in cui vivo. Uomini, donne e cani ai margini: storie invisibili. C’è una città che corre, che si illumina di vetrine e si riempie di voci che hanno un posto dove tornare. Poi ce n’è un’altra, più silenziosa, fatta di volti che impariamo a non vedere. Sono uomini e donne invisibili, che vivono ai margini, la cui storia è spesso segnata dalla perdita, dalla solitudine o semplicemente da una serie di sfortune che hanno portato a vivere per strada. I motivi sono tanti – tutti diversi, tutti tristi –, ma il risultato è sempre lo stesso: persone che hanno bisogno di tutto e che spesso diventano “problemi” da spostare, invece che esseri umani da ascoltare. Ho incontrato chi, in questa strada, si è arreso, chi vive giorno dopo giorno senza più aspettative, con la speranza che piano piano scivola via. Sono persone che non avrebbero mai voluto ritrovarsi lì, ma a cui la vita non ha lasciato altra scelta. C’è anche chi, però, ha scelto questa vita come una ribellione, un modo per non piegarsi a un sistema che non sentiva suo. E poi ci sono quelli che aspettano soltanto una seconda possibilità, un piccolo spiraglio di luce. Molti di loro portano un pudore nascosto, una dignità che cercano di proteggere come unico bene rimasto. Hanno paure, ferite profonde e storie che si raccontano solo a bassa voce. Alcuni riempiono le notti di lacrime, anche quando di giorno indossano un sorriso stanco. C’è chi inventa ogni mattina una storia nuova per sentirsi diverso, per continuare a sognare la vita che non ha mai avuto. Donne con il cuore spezzato, uomini che convivono con le proprie delusioni e con quei demoni che, col tempo, diventano compagni fedeli. Molti di loro non hanno nulla, ma sanno donare ciò che resta: un gesto, una parola, un aiuto. Spesso, per sentirsi meno soli, adottano cani abbandonati, proprio come loro. Da quel momento non sono più soli: diventano “soli in due”, si stringono in un abbraccio che scalda durante le notti fredde, quando il pudore si confonde con la rabbia, e la dignità resta la loro ultima fortezza. Entrare in punta di piedi nelle loro vite è un onore, osservarli è un dono prezioso. Bisogna rispettare la loro rabbia, la loro diffidenza, perché ogni giorno è una battaglia contro la solitudine e contro l’abbandono. È triste scoprire, conoscendoli, quanto sia facile cadere e quanto sia difficile rialzarsi, rendersi conto che la speranza può spegnersi piano piano, lasciando solo rimpianti e abitudini che servono ad annullare il dolore: l’alcol che stordisce, lo sballo che costa pochi euro e fa sembrare la notte meno lunga.Eppure, in tutto questo, i loro cani restano fedeli e presenti, piccoli angeli con la coda che donano amore e chiedono solo un po’ di cibo e di calore. Insieme, uomini, donne e animali si stringono in un unico abbraccio che sa di sopravvivenza, speranza e dignità. Anche a loro dobbiamo prestare attenzione e aiuto e per questo sto pensando di organizzare una forma di raccolta fondi per le loro necessità

E sul piano più personale cosa ti sta portando questa esperienza?
Ogni volta che incontro una persona che vive per strada e posso dare un sostegno, anche piccolo, provo una soddisfazione profonda: è un modo di restituire il bene che io stessa ho ricevuto nei momenti più fragili della mia vita. Lavorare con chi viene definito “l’ultimo” non è solo un impiego, è una vocazione. Stare accanto ai senza tetto mi ha insegnato l’umiltà, la resistenza e soprattutto il valore di ciò che normalmente diamo per scontato: un pasto caldo, un letto, una parola di conforto. Questo percorso mi ha ispirato a non fermarmi, a proseguire la mia formazione per diventare mediatrice interculturale e continuare a impegnarmi nel sociale, anche quando l’attuale contratto lavorativo finirà.

A cura di Costanza Fanelli


Lascia un Commento

©2019 - NoiDonne - Iscrizione ROC n.33421 del 23 /09/ 2019 - P.IVA 00878931005
Privacy Policy - Cookie Policy | Creazione Siti Internet WebDimension®