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Un magistrato fin troppo paternalista

Un magistrato fin troppo paternalista

Le recenti dichiarazioni del Procuratore generale di Bergamo, dopo un episodio di violenza sessuata avvenuto in città, accendono i riflettori sulle funzioni che devono essere assolte dai rappresentanti istituzionali pubblici.

Venerdi, 18/01/2013 - Le dichiarazioni del dott. F. Dettori, immediatamente dopo un episodio di violenza sessuale contro una giovane donna incinta, con le quali lanciava il sentito invito alle sue concittadine a non uscire da sole la sera, sconcertano non tanto per le contingenze in cui sono state pronunciate, ma per il retroterra ideale che le hanno determinate. Indubbiamente ad un magistrato interrogato dai giornalisti a fare un’analisi sulla scarsa sicurezza delle strade di Bergamo di cui è Procuratore della Repubblica, sarà comunque apparsa quale una sconfitta riconoscere che la città non dispone delle forze dell’ordine necessarie a soddisfare tale bisogno. Senza alcun infingimento ad un rappresentante istituzionale, che deve dar conto ad una Questura infastidita della decisione di concedere solo gli arresti domiciliari al violentatore, sarà sembrato opportuno diluire l’evento in sé, facendolo apparire quasi ineludibile. Ma, con altrettanta certezza, si può affermare che la frase per la quale, visto che “le donne sono l’anello debole della catena della società”, dovrebbero far sì che di sera escano in compagnia oppure rimangano a casa, rende evidente quale approccio culturale abbia il dot. Dettori riguardo al fenomeno della violenza sessuale. E del resto non serve a niente che immediatamente dopo tali dichiarazioni, a dir poco scioccanti, abbia affermato: “la mia è stata solo un’amara e desolante constatazione…..secondo me dovrebbero girare come tutti gli uomini”. Così argomentando, difatti, ricade nel primo errore, perché, dopo aver nuovamente ribadito come sia difficile difendere Bergamo nella sua totalità, ritorna a dire che”ai cittadini sono richiesti sforzi che a volte sembrano cozzare contro i diritti delle persone”. Una domanda sorge, allora, spontanea: “ma perché solo alla donne viene chiesto il sacrificio dei propri diritti?”, atteso che anche la libertà di uscire da sola e a qualsiasi ora rientri tra suddetti diritti?

Da un esponente importante di un’istituzione pubblica si saremmo volentieri aspettati tutti/e qualcosa di più che una semplice presa d’atto del presente, ossia “dell’impossibilità di presidiare il territorio al 100%”. Di rimando avremmo voluto sentire l’annuncio di azioni sinergiche con le altre istituzioni locali, di modo che nel prossimo futuro si riescano a concertare azioni di prevenzione del fenomeno della violenza sessuata. Ad esempio la stipula di protocolli d’intesa con le Asl, per far sì che anche i magistrati siano ben preparati ad accogliere le segnalazioni delle donne che denunciano comportamenti preoccupanti da parte dei loro compagni di vita. Così pure intese con i servizi sociali territoriali, per meglio monitorare le istanze che da essi promanano e conseguentemente predisporre le opportune misure giudiziarie. E, ancora, accordi con gli istituti d’istruzione scolastica superiore al fine di consentire ai giudici disponibili seminari sulla gravità dei femminicidi in Italia, cosicchè gli adolescenti comprendano meglio un fenomeno che da adulti li potrebbe cogliere impreparati.

Nell’immediatezza del momento vengono in mente questi suggerimenti e sicuramente altre proposte potrebbero seguire ad essi, solo che si dismettesse l’abito mentale per cui “le donne sono l’anello debole della catena della società”. Se il dott. Dettori lo indossa, come anche il sacerdote di Lerici che il mese scorso ha accusato le donne di cercarsele le violenze, allora c’è qualcosa che non va nelle nostre istituzioni pubbliche, laiche e no. Non riesco ad immaginare un rappresentante dello Stato quale un padre che raccomanda alla propria figlia di non rientrare tardi la sera, come pure mi è difficile pensare ad un ministro della Chiesa in veste di misuratore della lunghezza degli abiti femminili. Al contrario auspicherei che essi svolgano le loro funzioni nel pieno rispetto del ruolo che gli è stato rispettivamente assegnato. Le mansioni pubbliche, difatti, li gravano di responsabilità diverse da quelle delle altre persone appartenenti alla medesima comunità. Un consesso che non vorrei caratterizzato da quelle “catene” con cui i più forti impediscono i movimenti ai soggetti deboli, ma, invece, una società dove le regole servano proprio a tutelare quest’ultimi. Questo deve essere il compito del Procuratore generale di Bergamo, come di qualsivoglia altro funzionario o dirigente pubblico, ovvero operare nel pieno rispetto di quelle norme atte a garantire a tutti/e i loro diritti. Consigli paternalistici non ci occorrono, ma, solo ed esclusivamente l’assolvimento dei loro doveri istituzionali.

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