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Una particolare missione internazionale per Federica Mogherini: i diritti delle donne

Una particolare missione internazionale per Federica Mogherini: i diritti delle donne

La nuova rappresentante per gli affari esteri dell'Unione, Lady Pesc, assume su di sé anche l'onere di mobilitare la Comunità Europea a tutela dei diritti delle donne nel mondo

Sabato, 08/11/2014 -
Da poco insediatasi alla guida della politica estera comunitaria, Federica Mogherini ha innanzi a sé questioni diplomatiche dirimenti, tant’è che si è subito prefissa obiettivi precipui per il proprio mandato, quali, ad esempio, contribuire al riconoscimento internazionale dello stato palestinese. Sarebbe più che congruo ed opportuno che tra queste mete si annoverino anche quelle correlate alla tutela delle donne che nelle loro nazioni di riferimento sono oggetto di palesi violazioni di diritti. Per una ministra, divenuta tale anche per rispetto del principio di democrazia paritaria nella compagine governativa, connotare il suo ruolo, occupandosi di impegnare la Ue su questo terreno ideale, diventa un imperativo più che particolare. Non relegabile agli ultimi gradini delle opzioni di politica estera europea, com’è stato, ad esempio, per il caso della giovane iraniana giustiziata il mese scorso. In questa vicenda l’associazione Nessuno Tocchi Caino ha lamentato che “la comunità internazionale abbia avuto responsabilità enormi”, lasciando impiccare Reyhaneh Jabbari per puro “opportunismo diplomatico”. Le donne italiane si aspettano, invece, che Federica Mogherini dia segnali diversi al riguardo delle innumerevoli ingiustizie di cui le donne sono vittime nei propri stati d’appartenenza.

Indubbiamente si tratta di procedere con idonee strategie, concertate a livello internazionale, per raggiungere un tal genere di obiettivo, ma il tempo è tiranno atteso che sempre più il genere femminile assume il ruolo di vittima sacrificale di una real politik particolarmente vessatoria nei confronti delle donne. Nel caso di Reyhaneh si è, difatti, appalesato più che evidente la circostanza per la quale le proteste delle varie diplomazie estere si siano fermate di fronte all’opportunità di intimare al nuovo premier iraniano la salvezza della prigioniera. L’appoggio internazionale, concesso a piene mani ad Hassan Rouhani, motivato dall’esigenza di porre un argine all’integralismo islamico nazionale, ha comportato come conseguenza la pervicace volontà di immolare la giovane donna, pur di non rompere i fragili equilibri interni al suo governo. Così si è preferito sacrificare Reyhaneh, in vita come in morte, visto che, oltre al vilipendio di un processo ingiusto culminato con una sentenza di impiccagione illegittima, si è opposto un fermo rifiuto all’ultimo suo desiderio, quello di donare gli organi perchè “non voglio che i miei occhi o il mio giovane cuore diventino polvere”. Quasi che questo gesto potesse farla rivivere, lei che invece doveva morire una volta per sempre, a mo’ di esempio per quante avessero avuto solo in mente di ribellarsi ad una condizione che le vede soccombenti. Uno stato di vessazione, che negli ultimi tempi si esplicita finanche con il lancio di acido alle donne che osino portare il velo in maniera differente dalle regole, reso ancora più evidente da un’ ulteriore sentenza di condanna ad un anno di carcere per una angloiraniana, rea di avere preso parte ad una protesta pacifica contro il divieto imposto alle donne di assistere ad eventi sportivi in impianti pubblici insieme ad uomini.

Oggi che Ghonchen Ghavami sta conducendo lo sciopero della fame per rivendicare il diritto a tifare per la sua squadra, è evidente che le proteste internazionali debbano sostenerla, facendosi promotrici di una più che generale mobilitazione delle diplomazie estere. D’altronde è in tal modo che si è sviluppato l’impegno alla liberazione delle giovani nigeriane rapite dal gruppo terroristico di Boko Haram, anche se a tutt’oggi scorre inesorabile il calendario dei giorni dai quali non se ne conoscono più le vicende di vita. Anche in questo caso, però, le istituzioni pubbliche, nazionali e no, coordinate dagli Stati Uniti pare temporeggino e non premano in maniera incisiva, perchè temono l’espandersi incontrollato del califfato dell’Isis. Un silenzio fragoroso ed assordante, invece, connota i frequenti episodi di stupri di guerra a cui la comunità internazionale assiste impotente, come anche alla schiavizzazione delle donne per soddisfare gli appettiti sessuali delle truppe di miliziani integralisti. Lo scenario mondiale delle palesi violazioni dei diritti delle donne imporrebbe, ordunque che si inverta progressivament la sua rotta e Federica Mogherini potrebbe muoversi in tale direzione.

E’ di certo un compito difficile da assovere, ma temporeggiamenti al proposito non sono più ammissibili, pena la legittimazione di condotte che vedono le donne oggetti di scambio in non meglio precisate strategie internazionali. La misura oramai è colma ed i rappresentanti istituzionali dovrebbero evitare che il vaso trabocchi, nell’indifferenza generale di quanti a parole si dicono paladini dei diritti delle donne mentre in realtà ne diventano omissivamente loro aguzzini. Nel suo testamento spirituale Reyhaneh ha rimarcato che il mondo non l’ha amata perchè non ha voluto che si compisse il suo destino. Lei, che alla madre aveva espresso la volontà di essere data al vento perchè la portasse via, ha il diritto post mortem di affidare un messaggio ideale di salvaguardia delle tante Reyhaneh in pericolo nel mondo. Questo impegno dovrebbe essere assolto da Lady Pesc, visto che all’indomani dell’esecuzione della giovane iraniana Federica Mogherini esplicitò che “era stata uccisa due volte, prima dallo stupratore, poi dall’indifferenza”. Ebbene onori quella sua dichiarazione, perchè altre Reyhaneh non abbiano a dire che la comunità internazionale non le abbia amate fino a difenderne strenuamente la vita e la dignità.

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