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Una Storia Grande scritta da 'una femminista dell’Udi': 60 anni di cammino delle donne

Una Storia Grande scritta da 'una femminista dell’Udi': 60 anni di cammino delle donne

Recensione a 'Donne, una storia di lotte e di libertà. L’Udi tra il 1944 e il 2004' di Rosanna Marcodoppido

Giovedi, 09/03/2023 -

Donne, una storia di lotte e di libertà- L’Udi tra il 1944 e il 2004 di Rosanna Marcodoppido è sopra ogni cosa un tributo d’amore, di gratitudine e orgoglio di appartenenza alla grande Storia dell’Unione Donne Italiane, diventata Unione Donne in Italia nei primi anni del 2000. Ma è anche molto di più, è un prezioso strumento di approccio, di riflessione e di costruzione di una genealogia all’interno di un esplicito posizionamento.

Non mancano sicuramente libri sull’Udi nella sua dimensione nazionale, almeno fino al 1982, anno dell’XI congresso, ma Rosanna con questo libro va oltre, agisce un’operazione ambiziosa e complessa: consulta libri, riviste, carte d’archivio, articoli di giornale, atti dei convegni, appunti delle proprie agende per raccontare l’Udi dalla sua nascita fino al 2004; 60 anni di cammino delle donne. L’onere di scrivere questa storia a partire da sé, dalla propria esperienza, è sicuramente stato per lei emozionante e arricchente, una opportunità di ritrovamento, di rivalutazione ma credo anche un percorso doloroso in cui fare i conti con le ombre dell’esperienza politica delle donne fatta anche di conflitti, disconoscimenti, momenti carsici di immobilismo e impotenza, delusione e solitudini e, non ultimo, il dolore per tante compagne e amiche che non ci sono più e di cui riporta nomi e parole.

La Storia dell’Udi è una storia importante, complessa, potente, carica di fatti e di vissuti troppo poco conosciuti; l’urgenza di raccontarla per risignificarla e valorizzarla, per non disperderla e soprattutto per condividerla e donarla alle nuove generazioni di donne (e non solo) è un filo conduttore che attraversa tutto il libro. Un libro denso che rimanda ad una storia collettiva di donne, ad un Noi che ha dovuto e avuto esigenza di farsi tanti Io, un partire da sé per poi tornare in nuovi modi al Noi. L’autrice si posiziona fin dalle prime pagine del suo libro in un’ottica intersezionale e si dichiara “una femminista dell’Udi” una definizione che in un dato momento storico, gli anni Settanta del Novecento, avrebbe suonato come un ossimoro.

Il libro si muove tra storia e memoria, un movimento fluido tra la ricostruzione dei fatti e il dono di pezzi del proprio privato che Rosanna con generosità offre per attivare il terreno solido ed empatico del sapere dell’esperienza.
La prima parte del lavoro ricostruisce la storia dell’Udi dalla nascita per volontà dei Gruppi di Difesa della Donna, fino all’XI Congresso del 1982, un evento tellurico, crocevia importante nella storia dell’associazione dal quale si uscirà completamente cambiate, un momento traumatico alla ricerca di modi e di pratiche politiche generati dalle donne, come vedremo.
Nella seconda parte si avvicina via via all’oggi disvelando una sperimentazione che fa fare i conti con la complessità dei soggetti e dei processi.

Nella ricostruzione fatta da Marcodoppido appare come fin dai primi anni l’Udi è al fianco delle donne per i loro diritti e i loro bisogni. Dopo la battaglia per il diritto di voto le donne dell’Udi incontrano le neo elette Costituenti, per chiedere loro un impegno per la parità giuridica in ogni campo, diritto al lavoro e all’istruzione, parità salariale e sostegno alla maternità. Tali richieste vengono portate avanti con una vocazione unitaria che sempre contraddistinguerà l’organizzazione e che l’autrice non mancherà di evidenziare in vari passaggi. Nonostante queste richieste, che si iscrivono nel registro dell’emancipazione, si fa notare come non si possa tracciare una linea netta e svalutare l’esperienza dell’emancipazione liquidandola, come spesso è stato fatto, come semplice omologazione al maschile. Ne sono esempio le parole di una giovanissima Teresa Mattei riportate nel libro, pronunciate il 18 marzo del '47 durante i lavori della Costituente: “Noi non vogliamo che le donne si mascolinizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino ad una assurda identità con l’uomo…E’ nostro convincimento che nessun sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato dalla piena emancipazione femminile”.
Su questo essere Soggetti differenti nel nome dell’uguaglianza l’autrice tornerà molte volte per sottolineare come le donne, nonostante le innegabili difficoltà, riuscivano anche in quegli anni a immettere un loro autonomo differente punto di vista sulla realtà (significativi gli esempi di Lina Merlin sulla prostituzione di stato e Maria Maddalena Rossi sugli stupri di guerra).

Altro punto che emerge chiaro dalla lettura del libro è la capacità di contrattazione con le amministrazioni locali e con le massime istituzioni dello Stato, l’impegno per cambiare le leggi tanto da decidere ad un certo punto di esercitare in prima persona il potere legislativo utilizzando lo strumento della legge nazionale di iniziativa popolare, una capacità questa che verrà agita anche in tempi più recenti nel pieno del neofemminismo nella lotta contro la violenza sessuale, dove le iniziali divergenze e diffidenze reciproche cederanno il passo al bisogno di riconoscersi nella comune oppressione e nel comune valore.

Da metà degli anni '40 fino alla metà degli anni '70 la politica e l’impegno dell’Udi si snodano su tutti i temi centrali della vita delle donne affrontando questioni che in quella data società non era facile affrontare: dagli stupri di guerra alla pace con la consegna di 3 milioni di firme che una delegazione di donne consegnò all’Onu, la lotta alle discriminazioni, il diritto allo studio, al lavoro, l’accesso a tutte le carriere, l’istituzione di servizi sociali come asili nido e scuole statali per l’infanzia, la revisione del diritto di famiglia.

Nel suo libro l'autrice mette bene in evidenza anche elementi di rottura come l’introduzione di Marisa Rodano al VI Congresso del1959 in cui per la prima volta si parla di società maschile “svelando la radice monosessuata della polis e segnalando così la necessità di un superamento della centralità della lotta di classe”. Non mancheranno già a partire da questi anni e in un netto anticipo sui tempi riflessioni sul parto, la conciliazione lavoro-famiglia, il valore sociale della maternità, il divieto di vendita degli anticoncezionali.

Un aspetto interessante è quello dedicato agli strumenti che l’Udi ha individuato nella sua pratica politica e che coinvolgevano tutto il territorio nazionale come le campagne e i referendum, le prime vere e proprie mobilitazioni su problemi specifici, i secondi quali indagini periodiche a volte in preparazione dei Congressi, fatte per sollecitare la partecipazione diretta di tutte.
I Congressi erano strumento di elaborazione di pensiero e di pratica politica, i calendari un momento di impegno, la tessera come senso di appartenenza e sostegno della realtà associativa, dell’organizzazione capillare di grandi manifestazioni che riempivano le piazze e le strade del paese.

Ineludibile il rapporto con il suo storico giornale Noi Donne e l’impegno per la sua diffusione, la distribuzione della mimosa scelta dall’Udi come simbolo di lotta e per la quale si veniva arrestate, inedito, almeno per quanto mi riguarda, lo sguardo sul Femminismo e sulle interconnessioni che ne risultano con l’associazione. Nel testo si parla largamente di questo. Qui la scrittura dell’autrice si fa più densa nel ripercorrere eventi e processi, senza giri di parole arriva al nocciolo della questione: in quell’eccezionale momento storico dove le giovani donne rivendicavano la loro distanza dalle istituzioni e contestavano gli strumenti regi della democrazia, la delega e la rappresentanza, la contestazione era rivolta anche nei confronti dell’Udi, le sue lotte per l’emancipazione, la stretta vicinanza alle istituzioni e alle formazioni della sinistra in particolare del Pci. A tutto questo contrapponevano la liberazione, ma come Rosanna scrive “Nel loro entusiasmo e legittimo bisogno di autonomia, non furono in grado allora di riconoscere il debito contratto verso le donne venute prima, quelle cioè che avevano conquistato quei diritti che consentivano a tutte loro di proseguire in modo più deciso il cammino verso la libertà”.

Qualche parola merita di essere spesa per la trattazione fatta nel testo sull’XI Congresso dell’Udi avvenuto nel 1982 dal titolo: Noi donne che ci ribelliamo trasgrediamo usciamo dalle case parliamo tra noi ci organizziamo la nostra politica è la liberazione. Un titolo forte che segna una netta presa di distanza dall’emancipazione e frutto di un lungo, travagliato percorso preparatorio che l’Udi affronta scendendo nelle proprie profondità per indagare il condizionamento del patriarcato dentro ciascuna. Poco prima del congresso l’Udi aveva rifiutato il contributo che ogni anno dava il Pci, un gesto forte che ne sanciva l’autonomia, anche economica. In quel congresso viene smantellata la struttura verticistica, bandite la delega, la rappresentanza, le tessere, basando l’assunzione delle responsabilità non sulle candidature ma sulle autoproposizioni a rotazione, sulle autoconvocazioni (Assemblee nazionali autoconvocate) a cui viene affidato il compito della sintesi politica e delle decisioni. Una rivoluzione che avvia una fase difficile di sperimentazione.
Un’operazione di destrutturazione totale che nessuna associazione in Italia ha mai fatto.

I 20 anni successivi a questo evento sono stati anni di duro impegno per gestire politicamente i conflitti e di duro lavoro nella sperimentazione di nuove forme dello stare insieme all’insegna della democrazia, una democrazia a partire da sé.

L’impegno dell’Udi per la pace si rinnova nel forte rifiuto delle nuove guerre con il sostegno alle donne della ex Jugoslavia, l’attenzione al nesso tra pace e democrazia a seguito dell’invasione dell’Afghanistan, la denuncia degli intrecci tra guerra e patriarcato a seguito della seconda guerra del golfo, sono interessanti a questo proposito le riflessioni di Lidia Menapace che l’autrice riporta “Lidia Menapace fece notare che dal punto di vista giuridico-politico la pace non ha definizione la guerra invece sì: infatti si parla di guerra giusta o ingiusta; ma dopo l’atomica secondo lei nessuna guerra, che è comunque sempre la negazione della politica, poteva essere definita giusta”.

Gli ultimi anni di cui ci parla Marcodoppido, sono gli anni in cui si dichiara conclusa la sperimentazione e si ricomincia a dialogare con le istituzioni. Viene istituita l’Associazione nazionale degli Archivi Udi, matura la decisione di cambiare il nome in Unione Donne in Italia nell’intento di offrire sostegno e accoglienza alle numerose donne presenti sul territorio italiano ma provenienti da altre parti del mondo, si affronta il dibattito sulla procreazione medicalmente assistita. Sono gli anni del molto altro che si fa fatica ad elencare ma che Rosanna Marcodoppido ha deciso di prendersi l’impegno di raccontare con umiltà.

Trovo che questo libro sia come un ponte, un collegamento prezioso con il prima; percorrerlo o ripercorrerlo è un modo di poter tornare indietro ma per andare avanti.
Ringrazio Rosanna per averlo scritto e per avere espresso gratitudine a noi giovani donne che oggi lottiamo per la nostra libertà, le stesse giovani donne che lei stessa incontra da anni nel movimento Non Una Di Meno mettendosi in ascolto e facendosi essa stessa ponte, mediando esperienza e sapere con nuove istanze e nuove domande, ben consapevole che se è anche la storia dalla quale si proviene ha stanze grandi e alte finestre, la porta va sempre lasciata aperta per fare entrare l’aria.
Ti sono grata, Rosanna, della stessa gratitudine che hai usato tu nel raccontare le numerose “donne della vita quotidiana” nel tuo libro.
 

Valentina Muià, 9 marzo 2023


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