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I percorsi positivi dei migranti in Alta Sabina

I percorsi positivi dei migranti in Alta Sabina

Accoglienza e integrazione dei richiedenti asilo. L’esperienza di Poggio Moiano raccontata da Isabella D'Attilia e Flavia Braconi della cooperativa Phoenix

Venerdi, 23/04/2021 - “Il fenomeno dell’immigrazione è particolarmente complesso ed è importante lavorare giorno dopo giorno per integrare i ragazzi che arrivano da noi, costretti a fuggire da violenze e persecuzioni nei loro paesi”. Sono quasi tutte donne, in vari ruoli professionali, a gestire il progetto Sai Sabina (Sistema di Accoglienza e Integrazione di richiedenti e titolari di protezione internazionale), che ospita 38 beneficiari, ragazzi curdi, afghani, pakistani e africani. Nell’ambito del progetto ‘Donne, Sicurezza, Legalità” sostenuto dalla Regione Lazio, a Poggio Moiano, piccolo paese in provincia di Rieti, incontriamo Isabella D'Attilia e Flavia Braconi (videointervista), rispettivamente coordinatrice e operatrice del progetto affidato alla cooperativa Phoenix, nella sede che ospita le attività: una grande stanza colorata e attrezzata per tenere i corsi di italiano e professionali, per progettare iniziative, per gestire l’ascolto e i vari servizi.
“Appena arrivano sono sorpresi di avere a che fare con donne che dispongono per loro e dirigono la struttura, ma poi comprendono il contesto e le differenze culturali. Soprattutto constatano che risolviamo i loro problemi: oltre a mettere a disposizione vitto e alloggi, li aiutiamo a camminare sulle proprie gambe nel territorio italiano ed europeo dando loro gli strumenti per costruire una nuova vita”.
La storia di questo Centro inizia 15 anni fa, quando l’Unione dei Comuni dell’Alta Sabina, quale ente gestore, ha aderito alla rete delle strutture attivate per dare accoglienza ai migranti, chiamate prima SPRAR e poi SIPROIMI.
“È stata una scelta di apertura e di grande sensibilità da parte degli amministratori, sulla quale nel tempo abbiamo costruito l’integrazione vera. Oggi questi ragazzi sono visti non come stranieri ma come vicini di casa con i quali prendi un caffè e fai una partita a carte o che accogli a lavorare nell’officina”.
Alle pareti tante fotografie documentano questi vissuti e li ritraggono intenti ad infornare pizze o impegnati in una partita di calcio. Scatti che fissano momenti di una ‘normalità’ che rappresenta un prezioso e concreto varco verso il loro futuro. I provvedimenti voluti dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini avevano diversi obiettivi. “Gli ultimi due anni sono stati particolarmente faticosi per noi operatori, perché è cambiato l’approccio nei confronti dello straniero e anche degli operatori che lavorano a questi progetti di accoglienza - spiega Isabella D'Attilia-. Aldilà del decreto stesso e dei tagli ai finanziamenti, e conseguentemente dei servizi, la campagna elettorale che ha accompagnato i decreti ‘sicurezza’ ha finito per legittimare gli atteggiamenti di razzismo nei confronti dello straniero genericamente inteso, indipendentemente dal fatto che fosse maschio o femmina, regolare o irregolare, adulto o minore. Un complesso di elementi fuorvianti nella comprensione dell’immigrazione, fenomeno non riducibile ad uno slogan. Noi operatori lavoriamo tutti i giorni per decostruire gli stereotipi strutturando la sensibilizzazione con interventi costruiti a misura della comunità che accoglie, per agevolare l’incontro e il dialogo. Grazie a questo approccio possiamo dire che nel nostro territorio non abbiamo mai assistito a fenomeni di discriminazione o di razzismo”.
Flavia Braconi, anche sulla base della sua formazione di antropologa, ci tiene a sottolineare questo aspetto. “Abbiamo puntato a far conoscere i beneficiari non come numeri ma come persone, come portatori di culture diverse dalla nostra. Questa è stata la chiave di volta. Quindi abbiamo creato incontri ed eventi basati sulla valorizzazione delle differenze e che miravano alla conoscenza. Abbiamo costruito un terreno comune, sul quale ci si è incontrati parlando dei piatti tipici,della danza, dei giochi. Penso che questa modalità derivi proprio dal nostro essere donne; la capacità di ascolto e di tessitura delle relazioni ha avuto successo anche nella possibilità di organizzare tirocini formativi presso le aziende del territorio, sostanziando così i percorsi di integrazione lavorativa”.
Il percorso che queste operatrici hanno compiuto è la conferma dell’efficacia di questo modus operandi. “Nella fase iniziale non avevamo particolarmente curato la condivisione delle nostre attività con il paese. Poi, capito che la conoscenza era il mezzo migliore per poter creare una comunità realmente inclusiva, abbiamo cambiato strategia” dice D'Attilia. “Io sono arrivata al progetto in quella fase - aggiunge Braconi -; venivo dalla biblioteca comunale dove avevamo organizzato ‘Parole e passi per conoscere’, un’iniziativa itinerante durante la quale i rifugiati raccontavano il loro cammino. Ho sempre visto questo progetto come una grande ricchezza, perché offre agli abitanti di Poggio Moiano l’opportunità di conoscere persone che arrivano da parti del mondo che altrimenti non avrebbero mai avuto occasione di incontrare.
”Gran parte del lavoro di avvicinamento tra i rifugiati e la comunità che accoglie è stato possibile grazie ad un minuzioso lavoro di ricerca sul campo, condotto sulle storie di vita dei beneficiari del progetto, finalizzato a raccontare e valorizzare le differenze culturali dei diversi paesi di provenienza degli ospiti del progetto Sabina. L’inclusione riesce a dare sempre buoni frutti, ed è fonte di arricchimento per tutti gli attori sociali coinvolti. Infatti anche per noi operatrici infine “ci sono le soddisfazioni di vedere ragazzi che riescono a realizzare i loro sogni. Come Ibrahim, giovane curdo che tra poco aprirà a Verona la sua bottega di barbiere anche grazie ai corsi professionalizzanti che ha fatto con noi. La sua storia è una delle tante che possiamo raccontare, con la soddisfazione di aver aiutato persone a conquistare l’autonomia fornendo loro gli strumenti necessari”.

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