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#noicontrolaviolenza: se ne parla in carcere con le scuole

#noicontrolaviolenza: se ne parla in carcere con le scuole

Il progetto contro la violenza di genere di Se non ora quando – Libere, la piéce di Comencini, le scuole e il carcere. Intervento di Maria Elena Boschi

Martedi, 20/06/2017 - “Di cosa è fatto l'amore..” sussurra il giovane attore. E continua domandandosi, smarrito, “'uomo, che significa...”. Siamo nel teatro dalla Casa circondariale maschile di Rebibbia (Roma, 6 giugno 2017) e va in scena "L'amavo più della sua vita", pièce teatrale di Cristina Comencini, regia di Paola Rota con Irene Petris e Marcello Spinetta impegnati in una intensa interpretazione di coetanei sconvolti per l’uccisione di Silvia. A compiere il femminicidio è stato Saverio, amico d’infanzia di Luca, che non aveva capito e continua a non capire. Il suo appello disperato cade nel vuoto e chiude l’ultima scena. “Ho bisogno di parlare..”, confessa. E Maria non risponde, lasciandolo al suo percorso interiore.

Gli applausi testimoniano che il messaggio è arrivato alla platea e il dibattito che segue ne è conferma con l’intreccio di riflessioni, testimonianze e considerazioni di detenuti e detenute, studenti e studentesse, minori non accompagnati del Centro d’accoglienza, rappresentanze istituzionali ed esperte.

Il merito di aver assemblato un insieme inedito ed efficace è del progetto #noicontrolaviolenza del liceo Artistico E. Rossi di Roma realizzato in partenariato con Se non ora quando – Libere (locandina) con il sostegno del Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri, progetto cui aderiscono molti licei artistici di altre città. Obiettivo del progetto è parlare dei “diversi volti della violenza e in particolare di quella esercitata contro le donne, su chi ne é stata causa, chi ha subito, chi ha visto” osserva Donatina Persichetti, che modera la mattinata e che ha seguito un percorso progettuale in continuità con #maipiucomplici, sempre di SNOQ Libere.

“Il suo compagno la picchiava e lei non aveva il coraggio di ribellarsi, allora l’ho cacciato io”, dice Valeria, una studentessa, e aggiunge “non capisco perché, come donne, senza un uomo o una famiglia ci sentiamo incomplete”. In qualche modo una sua compagna, Ilaria, risponde, osservando che “l’altro non deve essere un bisogno, ma un arricchimento così se viene a mancare non si perde l’equilibrio”. Uno studente dice che talvolta “l’amore è condizionato dalla paura della solitudine”, altra distorsione delle relazioni e in qualche modo conferma Mario (nome di fantasia), in carcere per aver compiuto violenze sessuali. “Mi sentivo nel diritto di comandare, e quando ho capito ho avuto uno shock”, dice commosso dal palco e aggiunge un appello “”date a tutti la possibilità di capire dove hanno sbagliato”. Gli fa eco Piero (nome di fantasia), che legge una lettera scritta alla vittima delle sue violenze e che, dopo un percorso di conoscenza psicologica fatto con l’Unità Trattamento Intensificato, dice “non basta il tempo della prigione per superare il male fatto”. La voce delle vittime arriva attraverso alcune testimonianze di detenute che solo dopo un lungo percorso di riflessione hanno trovato il coraggio di pronunciare il nome dell’aguzzino o di parlare pubblicamente. L’osservazione di Matteo, uno studente, sollecita altri interventi: “sono maschio, non sono ancora un uomo dico che la violenza dipende da cosa ci insegnano da bambini' e la dirigente scolastica Mariagrazia Dardanelli osserva che “le donne e mamme hanno la responsabilità di non abbandonare la cultura degli stereotipi e di non crescere i figli nella parità e nel rispetto dell’altro/a”.

A spiegare le tante forme di violenza è l’esperta di statistica sociale Linda Laura Sabbatini, che invita a non sottovalutare le prime avvisaglie perché “inizia con dei condizionamenti e poi c'è un’escalation. Le donne che subiscono violenza dicono di avere paura di essere uccise ma non percepiscono le violenze come un reato. Non dimenticare, poi, che la violenza si trasmette ai bambini/e che assistono”. Prende la parola la direttrice dell'Istituto di pena che ospita l'evento, Rossella Santoro, per sottolineare l'importanza e la delicatezza dei temi trattati e la direttrice di Rebibbia femminile, Ida Del Grosso, spiega “considero violenza anche ingoiare ovuli di droga nel proprio corpo o le ragazze che rubano non per scelta ma perché obbligate”. Un invito ai giovani a non sottovalutare il fenomeno arriva da Maria Elena Boschi, Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio, che interviene dopo aver seguito tutta la manifestazione. “Dovete volervi bene e non pensate che la gelosia sia una bella cosa – ha detto – pensate che è bello crescere insieme sapendo che abbiamo stessi diritti e doveri, non c'è chi sta sopra e chi sotto, siamo pari. Il cammino è lungo ed è da percorrere sapendo che la battaglia è culturale”.

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