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Più libri, più liberi(e) e più Femminismo!

Più libri, più liberi(e) e più Femminismo!

Il Femminismo come argomento "in" e molto presente all'edizione 2023 di "Più libri, più liberi". Cronaca di alcuni incontri sul tema: contenuti, idee, argomenti in evoluzione. Domande

Lunedi, 11/12/2023 - Ma quanto Femminismo c’è stato a questa edizione della Fiera della piccola e media editoria di quest’ano a Roma? Tantissimo!
Ogni giorno e in plurimi eventi la parola “Femminismo” è stato al centro dell’attenzione dei pubblici.
A cominciare dall’appuntamento dell’8 dicembre intitolato “Sinistra e movimenti femministi in Italia”, in cui sono stati messi a confronto, in una sorta di linea di continuità storica, gli Anni '70 e '80 dei due movimenti, i contenuti dei libri “Anni di rivolta. Nuovi sguardi sui femminismi degli Anni Settante e Ottanta” (P. Stelliferi e S. Voli) e “Un mondo meglio di così. La sinistra rivoluzionaria in Italia” (E. Francescangeli).
L’incontro inizia con una relazione di autori e autrici che tessono un’interazione fra i volumi. Le due questioni cruciali sono il tempo e lo spazio: si parte dal 1943 fino agli Anni '80. Da dove viene il ’68 e dove va’ il Femminismo? “Chi sono questi sconosciuti?” (Carlo Levi a proposito dei moti del luglio 1968). Non si tratta di ragionare sulle diverse “ondate”, ma di ragionare sull’elaborazione di riflessioni e su due “rivoluzioni”. Con un’importante differenza: il Femminismo è una rivoluzione che “ce la fa”. Cosa rara in un panorama fatto di sprazzi di moti avanguardisti e di stop paludosi in cui si arenano. Il Femminismo no. Il Femminismo si erge o comunque rimane in sottotraccia. E ‘vivo.
Forse perché, peculiarità del Femminismo italiano, è quello di non essere ristretto ai centri urbani, ma di essere diffuso nelle periferie e nei diversi ceti sociali.
Ciò che caratterizza entrambi è l’oralità della storia.
L’immagine di una contrapposizione radicale fra sinistra rivoluzionaria/Femminismo e sinistra tradizionale (PD) va ripensata.
Il Femminismo, di cui oggi tanto si parla e che sembra scaturito da orrendi fenomeni di cronaca nera e di uccisioni per mano maschile di femmine assassinate, in realtà prosegue sulla sica del Convegno della Società Italiana delle Storiche del 2020. Un Convegno importante che fa nascere una storiografia del movimento Femministe degli Anni 70-80. La sociologia, la filosofia, le dottrine politiche infatti hanno dedicato attenzione e studiato di più il Femminismo, rispetto alla storiografia. Il libro esamina 10 ricerche sul Femminismo degli Anni ’70 e ‘80. Un elemento accomuna queste riflessioni: l’importanza della questione spaziale. Emerge che il Femminismo non è un fenomeno politico-culturale da grandi centri, ma si è diffuso da nord a sud. In luoghi considerati periferici (per es. Trento che plasma il movimento romano). Una diffusione a macchia d’olio di collettivi e giornali. Il 1968 non è uno spartiacque netto tra i Femminismi dei due decenni presi in considerazione: ci sono molti progetti che nascono a cavallo di essi e altri che nascono negli anni 80 ma che affondano le radici nel decennio precedente.
Il Convegno delle storiche ha portato, a distanza di tempo, alla nascita di questo libro. Una raccolta di 10 ricerche, tesi di lauree e master. Queste ricerche hanno un legame con l’Italia repubblicana molto stretto. Sono saggi collegati al contesto degli anni 70 e 80, in Italia ma non solo, e non ragionano solo all’interno delle realtà Femministe (per es i collettivi), ma esamina la relazione del Femminismo con il contesto in cui è situato. Si analizzano la femminilizzazione delle scuola, delle istituzioni culturali (RAI e Biennale), l’accesso alla salute e consultori, la pandemia da HIV/AIDS, il dialogo con l’UDI, con il PCI e il partito radicale anche per relazioni personali etc.
Memoria, confronto fra chi lo ha vissuto, ma anche apertura all’esterno, al campo internazionale e al confronto fra situazioni diverse.
Veniamo quindi al Femminismo dei giorni nostri con l’incontro “Non è un Paese per donne. Lotta al patriarcati e violenza di genere da Lucha Y Siesta alle piazze”.
Lucha y Siesta è sinonimo di 15 anni di esistenza, come spazio Femminista, e punto di svolta in un vortice che vede coesistere due schizofreniche realtà: da una parte il contrasto (dichiarato) alla violenza maschile e, dall’altra, il tentativo di chiusura di centri di sostegno alle vittime di tale violenza. Violenza patriarcale, ma dove parlare di “patriarcato” urta la sensibilità di qualcuno. Fa scalpore il messaggio di Gino Cecchettin, padre di Giulia, che da uomo denuncia e si sottrare al patriarcato. Un uomo che si rivolge ad altri uomini per riflettere sullla socializzazione dei maschi e sulle sue conseguenze. Un accenno è dedicato anche alla proposta del Ministro Valditara di nominare una commissione di tre garanti donne, per promuovere l’”Educazione alle relazioni” nelle scuole. Una di queste donne è Paola Concia, lesbica e femminista. Una donna che già in passato ha tentato di far dialogare opposte visioni e premesse, fra le perplessità di entrambi i poli. Candidatura bocciata, appunto per l’opposizione di entrambi i poli, ma che avrebbe avuto il merito di proporre una triade tutta al femminile, partendo da visioni diverse, per parlare alle scuole e nelle scuole di “relazioni fra i sessi”.
Elena Cecchettin, sorella di Giulia, ha “sdoganato” la parola “patriarcato”, che abbiamo scoperto essere un argomento divisivo. Ma perché il “caso Cecchettin” ha fatto tanto rumore? Perché è il portato di ciò che è successo prima. Il maschilismo non è solo dei 55enni (età media dei femminicidi), ma anche dei giovani maschi che cercano il dominio sulle femmine. Il problema è l’educazione del maschio: cercare di subordinare l’altra, di rifiutare il concetto di “parità” che significa essere alla pari con le coetanee femmine e quindi farsi dominare da loro. Ergo, nemmeno la parità va bene, perché manca di quella parte ritenuta “dovuta” a chi nasce maschio: la centralità per un’attenzione superiore da parte dell’altra e da parte degli altri. E’ frutto della cultura e dell’educazione che troppo spesso ancora viene data ai nati maschio. E’ cultura quindi su cui occorre agire, perché l’imprinting dura poi tutta la vita.
Non si parla di un elemento che vuole spiegare tutto, ossia il patriarcato, ma del fatto che esso è una sovrastruttura che domina su tutto. Fatto di stereotipi e di condizionamenti che limitano la nostra libertà. Nominare significa vedere, tornare a ragionare, intervenire per cambiare. Oggi si parla di coinvolgere e di parlare ai maschi di violenza verso le femmine. Occorre preparare le persone di ambo i sessi (per es. insegnando il Femminismo nelle università). Davanti alle istanze femministe che mettono in evidenza la violenza e i pericoli per le femmine e le loro vite, i maschi rispondo spesso “e però noi moriamo prima”, oppure “però loro sono sempre in piazza a rivendicare, mentre noi non lo facciamo” (e chiedevi perché!, nda). I maschi non hanno mai nemmeno cominciato a fare un discorso sul “genere”, inteso come costrutto culturale legato al sesso di nascita. Gli stessi giornalisti e le stesse giornaliste usano il termine “genere” solo quando riferito alle donne. Sbagliato! Il “genere” è relativo anche agli uomini. Il problema è ciò che socialmente viene insegnato, veicolato e approvato per i maschi. Il patriarcato è un sistema di potere che esiste ovunque. La negazione maschile del patriarcato ha due radici: il fatto che esso mette in discussione tutti gli uomini ( ossia, i “femminicidi” non sono casi isolati e patologici da sottrarre al vivere comune, ma il risultato di un’educazione condivisa e diffusa) e perché mettere in discussione il patriarcato significa scardinare un sistema di poteri e di vantaggi di cui tutti i maschi beneficiano. I cambiamenti strutturali sono lenti nel produrre risultati, ma è un passo avanti riconoscere che si tratta di un fatto culturale e non genetico. Educare al rispetto e alle relazioni si fa dalla prima infanzia fino all’Università e per tutta la vita. Coinvolge scuola e famiglia. E qui si apre un capitolo doloroso: è la famiglia, troppo spesso, il veicolo di una cultura patriarcale e quindi si sta chiedendo alla struttura in cui il patriarcato si trasmette, attraverso gli insegnamenti o i comportamenti, di scardinare ciò su cui esso poggia e tramanda e quindi sé stessa.
Per evitare questi step necessario e complesso, si cerca di negare la radice culturale della violenza maschile e dii attribuirlo alla natura. Di “smorzarla” attraverso l’intervento di psichiatri/e, psicologi/ghe e avvocati/e.
Parliamo anche della contrarietà dei genitori (a proposito della paura di rompere equilibri squilibrati, che mettono in dubbio e dissolvono il mito della “famiglia” che il patriarcato stesso ha costruito e alimentato) e del fatto che molte cose, nelle scuole, non si possono fare. I partiti, compresi quella della sinistra, hanno paura di perdere consenso.
Dire che il femminicida è un malato, che non è il frutto di una cultura, è la radice del negazionismo.
Ma solo in Italia il patriarcato e il potere maschile sono al centro del dibattito?
Per fortuna no.
Se ne parla nell’incontro con Margo Jefferson, nella presentazione del libro “Sistema nervoso in costruzione”, sul tema dell’American Women.
Un libro pieno di donne in cui si narra del Femminismo e dell’identità femminile. Parliamo del Femminismo degli anni 70. Gli anni 60 sono stati gli anni della l’antiguerra e dei diritti civili, negli anni 70 è il cambiamento al centro del dibattito e di come esso costituisca un moto costante e perpetuo delle persone. Questo vale anche per il Femminismo. Ci si fanno domande su tutto ciò che riguarda la propria vita e i condizionamenti che la governano. La considerazione che le donne devono sposarsi, avere figli/e, di valutarsi come esseri umani di seconda categoria comincia a stare stretta. Si iniziano a mettere in discussione la religione, la classe, la politica, ma anche la loro intersezionalità rispetto alla propria e all’altrui esistenza differente eppure comune. Ogni aspetto viene analizzato separatamente (black feminism, latina feminism, canadian english feminism, Quebec feminism etc). Il Femminismo evolve e crede “che il personale e il politico si uniscano sempre”. Il Femminismo ha consentito alle donne di lottare insieme, senza doverlo fare da sole. Sarebbe stato molto pesante, altrimenti. Il lavoro delle donne è stato quello di mettere in discussione il patriarcato, sia all’esterno sia all’interno della propria situazione. Ma farlo anche dall’interno del sistema patriarcale in cui siamo immerse.
Il “privilegio Femminista” era quello di cambiare il mondo e ci si sentiva di poterlo fare.
Questa energia c’è ancora nel mondo a proposito del Femminismo?
E’ complicato, le sfide odierne del Femminismo sono molte complesse: intersezionalità, lotte comuni, dispersione geografica e variabilità delle situazioni. I diritti acquisiti sono (ri)messi in dubbio e il Femminismo attuale deve lottare per questo. C’è inoltre il problema del “genere” e della sua ambiguità.
C’è un rapporto fra sesso, classe sociale e razza che va approfondito. Per esempio, come hanno collaborato (se lo hanno fatto) il Femminismo bianco e quello nero? Per molto tempo c’è stata poca integrazione, ma abbiamo riconosciuto che il Femminismo, anche se all’inizio era bianco, aveva un profondo significato anche per le donne nere. E c’era bisogno di prendere questi temi e declinarli in base alle nostre diverse condizioni. E’ questo il significato della parola “intersezionalità”. Sull’argomento, molto ampio, ci sono stati due altri incontri, uno dal titolo “Dall’Iran all’Italia, il nuovo linguaggio dei movimenti femministi nel mondo” e l’altro “Le mille facce di un Paese. L’Iran contemporaneo”. In entrambi i casi si è parlato del ruolo del Femminismo e della valutazione dei diversi contesti culturali, storici, etnici, religiosi e giuridici. Interessante è l’affermazione emersa in cui le istanze di pari dignità fra maschi e femmine e quindi di lotta femminista viene posta su un “gradino superiore” alle valutazioni delle altre circostanze citate. Questo perché il Femminismo e i diritti delle donne non sono (solo) espressione di valori occidentali, ma sono il portato di Convenzioni internazionali sottoscritte da plurimi Paesi. Fanno quindi parte del diritto internazionale convenzionale e rappresentano principi sovraordinati, universali.
Per molto tempo, se una donna aspirava a fare qualcosa nella vita doveva dimostrare di essere più brava di altri. Lo stesso, doppiamente, valeva se si era donne nere. E’ la “condanna del talento”, per noi donne, è un aspetto importante per fare gli stessi passi di un soggetto di esso maschile. E’ un impegno incalcolabile, che può essere il doppio, il triplo, ma soprattutto è anche un impegno e una lotta interna che combatti dentro te stessa, per convincerti che hai questi talenti. Ogni volta che la società mette in dubbio, critica, nega questi talenti, devi combattere con i dubbi che sorgono dentro di te. Il patriarcato, il razzismo i bigotti, contano su questo, nella speranza che alla fine ti arrendi e rinunci. Ci sono battaglie interne ed esterne che le persone di sesso femminile combattono quotidianamente. Ogni volta che leggete una storia afroamericana, state attente alla nonna (nera) che vi dice “Quello che avete oggi è grazie alla mia lotta”. Noi donne dobbiamo liberarci dal vittimismo. Ogni carico psicologico significa trovare continuamente risorse interne ed esterne, combattere battaglie, per ampliare le possibilità di lasciare dietro di sé delle scie di cambiamento. Occorre passare alle generazioni femminili future la capacità di lottare, ma anche di esprimere gioia, speranza, forza, vulnerabilità. Alle nostre nonne questo non è stato concesso.
E circa i femminicidi? Ci sono, nel mondo, ancora molti casi di femminicidi. Come si spiega questa violenza maschile contro le femmine? Tutte le volte che le donne combattono e acquisiscono spazi e diritti, la furia del patriarcato si accende e si accresce. I maschi sono sempre più arrabbiati rispetto alle conquiste delle femmine e quindi reagiscono (male). E’ una velenosa nostalgia per i “bei tempi d’oro”, in cui i maschi avevano il potere totale.
La fragilità dell’ego maschile, dice l’autrice, si rispecchia bene nella relazione fra Tina Turner e Ike: entrambi provengono dalla classe lavoratrice e si avviano verso il successo grazie alle loro capaictà. Si incontrano, hanno bisogno uno dell’altra, i loro talenti si incontrano e si supportano. Ike la considera la sua musa e quindi, in quanto tale, come un gradino sotto di lui. Ma quando lei acquisisce più successi di lui, Ike lo vive come se gli stesse togliendo qualcosa e comincia ad assumere atteggiamenti che rievocano il patriarcato. Reclama i suoi privilegi di maschio a essere al centro dell’attenzione.
Nel primo incontro si è parlato del rapporto fra il Femminismo e la sinistra radicale. O comunque la sinistra. Il Femminismo quindi è intrinsecamente legato alla sinistra? Non proprio.
Nel pomeriggio, una riflessione sul tema è svolta nel corso dell’evento “Viaggio nel Femminismo di destra, sotto il tetto di cristallo del Governo Meloni”.
Il Femminismo non è solo di sinistra. Occorre parlare di “Femminismi”.
Le donne al potere non bastano a fare Femminismo. Oggi viviamo in un mondo a misura maschile, con un potere che non sa parlare al mondo femminile.
L’articolo dell’Huffpost del 21 dicembre 2022 di Stefania Pompili titolava “Giorgia Meloni ha rotto il tetto di cristallo: merita il sostegno di tutte le donne”. Eppure, siamo al 104° posto per divario maschio/femmina in termini economici, secondo il Global Gender Gap 2023.
Cosa significa parlare di progressismo e leadership femminile in un mondo come quello di oggi? Significa parlare anche della presenza delle donne, compresa M. Thatcher, perché questo è stato emblematicamente significativo. A livello mediatico è più esposto il Femminismo radicale, mentre nella politica è manifestato il Femminismo di destra, che propone una sorta di “protezione delle femmine” all’interno delle strutture tradizionali della società. Ergo, proteggere le donne significa proteggere le mamme. La donna bianca ed etero deve essere protetta all’interno del sistema famigliare tradizionale, affinché il sistema stesso possa proseguire ed essere salvaguardato.
In questo Femminismo tradizionale i corpi femminili sono relegati alla sfera domestica e alla procreazione. Giorgia Meloni è la prima donna Presidente del Consiglio, è di destra e non è relegata alla procreazione/famiglia. Quindi, dire che la destra confina a un ruolo subalterno e ancillare le femmine non corrisponde (più) alla realtà. E i binomi che prima venivano automaticamente associati (per es. sinistra-Femminista, destra-maschilista) hanno perso parte della loro ragion d’essere. Un “corto circuito” intellettivo come quello del primo nero eletto in Parlamento in Italia, Tony Iwoby, candidato per la Lega, oppure, Rishi Sunak e la sua politica di contenimento dell’immigrazione. Una soluzione che sembra essere in linea con il timore, da parte degli/delle immigrati/e che “che ce l’hanno fatta” che, davanti ai massicci arrivi, di immigrati, possano esserci delle contrazioni dei loro diritti. C’è, in sostanza, una questione di classe anche fra immigrati/e. La domanda è: la questione relativa all’appartenenza al sesso femminile può (o non può) essere slegata dalla questione di classe?
A voi la risposta o le considerazioni…..
Un’altra considerazione: il Femminismo di destra è prevalente perché non mette in discussione il sistema ed è più facile da conciliare con altre istanze. In Italia, il fatto di essere pagate allo stesso modo dei colleghi maschi oppure che le figlie possano svolgere lo stesso lavoro dei figli sono situazioni ormai consolidate. E’ quando ci si sposta e si mette in discussione la sovrastruttura maschilista che sorgono i problemi. Come dimostra la reazione di diversi maschi di destra che, di fronte ai femminicidi, invocano la punizione del perpetratore, in quanto singolo, senza mettere in discussione la sovrastruttura patriarcale.
La questione è legata alla socializzazione di genere dei sessi. Occorre la parità di accesso al lavoro, al salario, al prendersi cura della famiglia e delle proprie fragilità. Solo allora ci sarà la possibilità di sconfiggere il patriarcato. Domanda: davanti a questa prospettiva, i maschi sono in grado di accogliere e di accettare il fatto che venga rivista la loro situazione di privilegio? Di perdere quindi dei vantaggi? Vedremo.
Un’altra questione emersa riguarda il femminicidio di Saman Abbas. Si è accusato il Femminismo italiano di non essere entrato nella questione. Lo stesso per il PD si è espresso con prudenza, per paura di essere accusati di islamofobia. E qui, l’intersezionalità conosce un en passe. Per quanto, l’assenza dello Stato risponde a una questione organizzativa/burocratica, in quanto, nei casi di ricongiungimenti familiari, non si passa spesso dalle Istituzioni e quindi le donne vengono private della possibilità di fare corsi di lingua, di diritto, di autonomizzazione lavorativa etc.
Una questione spinosa, sulla quale questo incontro porta a riflettere: e il patriarcato “di importazione”? Integriamolo nei punti di attenzione del Femminismo, senza “paure” di xenofobia/islamofobia. Anche perché occorre valutare in che modo questo “patriarcato di importazione” interagisce con il patriarcato autoctono.
Ma l’omicidio Giulia Cecchettin in che modo ha fatto la differenza? Sicuramente, per le parole adoperate dai/dalle famigliari della ragazza. La narrazione della ragazza scomparsa e assente da giorni, prima di scoprirne il corpo abbandonato nel dirupo, ha creato il climax e ha sviluppato empatia e partecipazione da parte delle persone. Inoltre, le parole partecipi della sorella, che hanno “parlato” alle/ai giovani e al pubblico femminile, chiamando in causa un “colpevole” innominato e sovrapposto, come il “patriarcato, insieme con quelle del padre, che ha preso le distanze dal patriarcato (al quale, per sesso di nascita, appartiene), rivolgendosi al pubblico maschile, hanno fatto la differenza. Il dolore, non più privato e relegato alla parte “vinta e perdente” (la famiglia della vittima di femminicidio), è stato esposto e spostato sul femminicida, come rappresentante di una classe di soggetti perpetranti, i maschi, e non come soggetto “deviato”.
Punizioni e “occhio-per-occhio-dente-per-dente” sono la soluzione? Davanti alle violenze sessuali e ai maltrattamenti parliamo di castrazione chimica. Tuttavia la castrazione chimica è una punizione patriarcale? Va infatti a colpire la virilità del maschio. Il confronto non offre proposte di soluzione o di interventi. Certamente, una pena troppo bassa, rispetto alla violenza maschile, non serve a contrastarne la commissione. E’ una questione di “gioco-che-(non)-vale-la-candela”.
In questo, il Femminismo radicale è più “punitivo”, convergendo con il rigore invocato dalla destra.
In chiusura dell’incontro: riflessione sul Femminismo – che non è solo borghese, bianco e radicale – e considerazioni relative a un Femminismo differente che consideri l’individualità e la diversità delle condizioni femminili nel mondo.
L’idea proposta è quella di una collaborazione con le altre realtà per individuare delle aree in cui si possa lavorare insieme. Il progressismo nel nostro Paese, non ammettendo questo relativismo, crea un ostacolo.
Realtà e immaginazione, immaginazione che è poi rappresentazione indiretta della realtà, fattuale o desiderata.
L’incontro del 9 dicembre si intitola “The Big Game Live: Superman vs Wonder Woman”, con diretta su Tik Tok. Qual è dunque il simbolico per le generazioni più giovani, relativo al supereroe e/o alla supereroina?
E qui ritorna il termine “Femminista”!
L’esperta del fumetto, spiega che Wonder Woman è un simbolo Femminista e rappresenta il potere femminile senza forzarlo. E’ una donna molto forte, ha una personalità specifica e ben delineata. Nasce su un’isola abitata da sole donne, nella città di Themyscira, dove sua madre esprime perplessità nell’inviarla nel mondo umano, che è patriarcale e dove non la rispetteranno. I maschi infatti tenteranno di distruggerla sia emotivamente sia fisicamente.
Tutte/i possiamo scoprire dentro di noi dei superpoteri. Per Wonder Woman la forza è nell’empatia e nella compassione, mentre per Superman è la generosità. Wonder Woman ha solo una piccola differenza rispetto a Superman: non nasce come umana ed è ben consapevole della sua identità. Lei è un’Amazzone. La compassione e l’empatia che prova la rendono però “umana”.
Una considerazione sul linguaggio subliminale: la moderatrice dell’incontro domanda un paio di volte “perché secondo te Superman vince questo confronto?”. Stranamente, questa domanda non viene mai formulata per Wonder Woman…..
Il punto di forza di Wonder Woman è che le sue storie sono in relazione a creature mitologiche e Diana (nome della donna che poi si “trasforma” in Wonder Woman) può quindi essere più Umana. Diana deve vivere costantemente il Lutto, essendo immortale in un mondo umano. Ci insegna cos’è il lutto e come uscirne.


Ma chi è il nemico di Wonder Woman? La guerra, anche se lei crede che, in fondo, ci sia del buono negli uomini. E teme che a fomentare la guerra non siano gli uomini, ma qualche Divinità (opps, ancora una volta la responsabilità viene allocata ad “altro”!).
I fumetti, nella loro narrazione, trasmettono valori e immaginari alle giovani generazioni. Inoltre, i fumetti non sono solo per bambine/i, ma anche per persone adulte (per es. Superman che deve mostrarsi continuamente forte, ma ha una fragilità; Wonder Woman che deve continuamente affrontare il lutto). Alcuni fumetti trasmettono il messaggio che anche i supereroi e le supereroine vanno dallo psicologo/dalla psicologa e che quindi è lecito avere e parlare delle proprie fragilità.
La moderatrice/giudice (che si definisce “il giudice”) proclama alla fine il fumetto o personaggio vincitore/ice: entrambi. Nel caso di Wonder Woman perché ci dice che possiamo cambiare e lottare. Un ex equo politically correct.
Il Femminismo appare più che mai vivo e vitale, contro chi lo vorrebbe superato e appartenente al passato. Ma tante, tantissime si identificano in esso e portano avanti la loro battaglia quotidiana in nome del “Femminismo”. E avrà lunga vita fino a quando ci saranno nate femmina che in essa troveranno identità e forza per resistere a un metastruttura maschil(ista)e.

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